di Antonio Baudi – Giurisprudenza è termine dall’etimo composto: deriva da “ius-iuris” e “prudentia”. “Jus” significa diritto, termine che a mio avviso va preferito a quello di “directum” (che evoca l’unidirezionalità del diritto) non fosse altro perché è la radice di giuridicità, di giurisdizione, di giudice. Quanto a “prudentia”, cioè prudenza, termine che usualmente evoca cautela e moderazione, essa, nel suo significato autentico, quello proprio della prima delle quattro virtù cardinali, esprime nel contempo sapienza, nel saper comprendere gli avvenimenti con realismo e concretezza, e saggezza, nel discernere responsabilmente e valutare le conseguenze dell’agire. Giurisprudenza è l’attività del giurista ma anche il suo prodotto e quindi l’insieme dei discorsi sul diritto anche se, di solito, si distingue la giurisprudenza giudiziaria, dei giudici, e la giurisprudenza dottrinale, degli studiosi del diritto. In questa sede, escluso che la dottrina giuridica possa mai produrre diritto, stante il suo valore puramente teorico, il quesito ha riguardo alle decisioni assunte in sede giurisdizionale, nella specie della materia penale. Così delimitato il campo d’indagine il quesito posto è se la pronuncia dei giudici sia solo atto di conoscenza o anche modifica e creazione del diritto, quindi, come suol dirsi in senso metaforico, se sia fonte di norme giuridiche. Il quesito pare improponibile nel nostro sistema e potrebbe essere risolto negativamente sol che si rifletta sul disposto dell’art. 1 delle “preleggi” per il quale sono fonti del diritto, nell’ordine, le leggi, i regolamenti e gli usi, quindi senza alcun riferimento alla giurisprudenza. Del resto, tale soluzione è tradizionalmente consolidata. Ma, a causa di recenti e più meditate riflessioni nonché, combinatamente, di esperienze sopravvenute, negli ultimi tempi il quesito si è posto, e si tratta di quesito di rilievo generale, attenendo all’assetto normativo del sistema. La risposta tende ad essere affermativa nell’ambito della scienza civilistica, avuto riguardo a pronunce innovative rispetto alla disciplina positiva, mentre, ed è quello che interessa in questa sede, è problematica in materia penale ove si scontra con il principio di legalità penale e con il dettato costituzionale che, nel rispetto della divisione di poteri, vuole la giurisdizione soggetta (soltanto) alla legge. Il problema, occorre notarlo, consegue anche alla sopravvenuta interferenza culturale della normativa di genesi extrastatale, sia di matrice europea, tramite gli atti con efficacia diretta ed indiretta di fonte UE, come vincolativamente interpretati dalle decisioni della Corte di giustizia (CGUE), con sede in Lussemburgo, sia di matrice internazionale, prima tra tutte quella facente capo alla Convenzione europea dei diritti umani (CEDU) come operante attraverso le decisioni, pur esse vincolanti, della Corte EDU, con sede in Strasburgo. In proposito occorre, per quel che concerne la pertinente tematica delle fonti del diritto, soffermarsi sull’impatto del sistema di common law nel nostro sistema di civil law, tanto perché il diritto extraordinamentale in questione non solo vincola le decisioni dei giudici italiani in virtù del principio di supremazia, quanto ancora perché impone il rispetto delle interpretazioni fornite dalle due Corti che, si noti, decidono, jus dicunt, come organi giurisdizionali secondo quel sistema. In generale, per il sistema di common law, la giurisprudenza è intesa come la principale fonte del diritto, con un ridotto intervento del diritto di matrice legislativa. In proposito va rammentato che il common law, sistema ordinamentale originatosi nell’Inghilterra medievale e successivamente diffusosi nei Paesi anglosassoni e negli Stati del Commonwealth, è basato sul principio dello stare decisis, vale a dire sulla efficacia vincolante dei precedenti giurisprudenziali, a differenza dei sistemi di civil law, che, derivanti culturalmente dal diritto romano, si sono consolidati all’interno di ordinamenti statali, prima dominati dalla centralità assoluta della volontà del sovrano, poi ispirati ai principi democratici di portata illuministica della sovranità popolare e della separazione dei poteri. Quanto al concetto di precedente giudiziario basti in questa sede precisare che con tale termine si intende una pronuncia resa su un determinato caso e divenuta ormai definitiva ed immutabile. Si può quindi identificare l’insieme dei precedenti con le pronunce rese nel tempo e dunque con l’orientamento giurisprudenziale formatosi rispetto ad una determinata fattispecie. Per incidens, un rilievo di portata concreta: i giudici di common law per decidere devono disporre di immani raccolte di precedenti, il che, da un lato, privilegia il nostro utilizzo di regole scritte e di codici tematici e, dall’altro lato, rende difficile comprendere come ne sia garantita la conoscenza e la stessa certezza giuridica, che appare complicata, oltre che nella individuazione del precedente pertinente al caso da giudicare, prima ancora nel momento di individuazione della somiglianza casistica, condizione che attiva la determinazione del precedente e quindi l’obbligo della vincolatività. Fermo restando l’effetto vincolante delle sentenze dei giudici europei nel nostro ordinamento, effetto derivante dagli obblighi assunti e tale da subordinare l’efficacia di una regola interna alla conformità con la disciplina europea autenticamente interpretata da quelle Corti, ci si è chiesti se sentenze nostrane, in quanto atti giurisprudenziali, siano nel nostro sistema di pari portata vincolante e tali da qualificarsi come “fonti” di diritto in presenza di pronunce di portata “innovativa”. Va subito notato che ogni sentenza ha un preciso ambito decisorio, soggettivo, rispetto alle parti in causa, ed oggettivo, delimitato dal caso deciso sicché, sotto tali profili, ha efficacia particolare, oltretutto condizionata dal tema su cui decidere, sicché non si riesce a comprendere come la pronuncia, certamente vincolante tra le parti, possa assumere efficacia generale ed astratta, sì da trascendere la specificità della soluzione giudiziaria. Ed invece l’ostacolo si sormonta avuto riguardo, da un lato, al carattere tipico del caso, e, dall’altro lato, alla regola normativa utilizzata come guida per la risoluzione della vicenda. Siffatto profilo, ove, a fronte della rilevanza del caso da giudicare, la regola sostenuta sia “nuova”, coinvolge il principio di legalità penale, il quale, se pur modernizzato, impone che ogni norma sia desunta da un testo di genesi parlamentare, comunque formalizzato in una regola scritta. Ne resta coinvolto il termine legge, il quale è notoriamente polisemico designando a volte l’atto normativo, come suggerisce in generale il principio di legalità, ed altre volte la regola e, in questo senso, ha riguardo o al testo oppure alla sua portata normativa che