RIEQUILIBRIO COSTITUZIONALE (NECESSITÀ ISTITUZIONALE)
di Leo Pallone*– La separazione delle carriere è un elemento logico-giuridico e democratico indispensabile per completare l’architettura del processo penale moderno, non è una scelta facoltativa, ma la correzione necessaria per armonizzare l’organizzazione della magistratura con i principi fondamentali del «giusto processo». L’assetto attuale è strutturalmente sbilanciato rispetto ai principi fondamentali della Costituzione. L’organizzazione istituzionale (l’unità delle carriere ereditata dal 1948) non è mai stata adeguata alla logica del «nuovo processo» (il modello accusatorio introdotto nel 1988). Il Riequilibrio Costituzionale mira a sanare la contraddizione storica lasciata aperta dal 1948: l’adozione del modello accusatorio senza la separazione dei ruoli. La separazione, quindi, non aggiunge un nuovo principio, ma completa l’architettura per farla aderire pienamente alla sua logica interna e al dettato costituzionale (art. 111, Cost.), che esige un giudice terzo e imparziale. Ciò premesso, è necessario richiamare il “pensiero puro” sulla separazione delle carriere, richiamando quei passaggi significativi della sinistra riformista oggi inspiegabilmente ripudiati da molti amici e colleghi. L’oblio di tale storia è per me fonte di grande dispiacere, perché tradisce una battaglia di autentico garantismo. L’idea della separazione delle carriere, nata per ragioni puramente tecnico-giuridiche, trovò storicamente il pieno supporto della matrice socialista e della sinistra riformista tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90: Giuliano Vassalli** (Ministro PSI), fu l’artefice del Codice di Procedura Penale del 1988. L’introduzione del modello accusatorio (basato sul contraddittorio tra Accusa e Difesa davanti a un arbitro terzo) per logica giuridica imponeva la separazione, una tesi condivisa da molti giuristi che parteciparono a quel progetto riformatore; la Commissione Bicamerale (1997-1998), presieduta da Massimo D’Alema (PDS/DS), questa commissione per le riforme costituzionali non solo considerò seriamente, ma incluse tra le ipotesi di riforma la separazione delle carriere. Per quella corrente di pensiero, la separazione non era un attacco alla magistratura, ma un modo per rafforzare il principio del «Giusto Processo» (Art. 111 Cost.), garantendo la piena terzietà del Giudice e una vera parità delle armi tra accusa e difesa. Si trattava, insomma, di un adeguamento istituzionale all’evoluzione del diritto. Il dramma di oggi è che la sinistra riformista si trova su barricate opposte rispetto alle sue battaglie storiche. Il motivo di questo ripudio è prevalentemente politico. Di conseguenza, il progetto della separazione è passato dall’essere un imperativo garantista (a tutela del Giudice Terzo) a essere percepito come un tentativo di indebolire il Pubblico Ministero e la sua indipendenza dal potere esecutivo. I partiti progressisti hanno scelto di sacrificare la coerenza logico-giuridica (la terzietà del giudice) sull’altare della strategia politica, preferendo difendere lo status quo per tutelare l’indipendenza formale della funzione requirente e non legittimare una riforma promossa dall’avversario. Questa inversione di rotta non è solo un errore politico, ma, per chi ha a cuore i principi del processo, una ferita alla cultura del garantismo, che antepone la difesa dello status quo organizzativo (o la paura di uno scontro) alla realizzazione di un assetto finalmente coerente e costituzionale. *Avvocato, direttore della rivista “Ante Litteram” **Giuliano Vassalli, artefice del Codice del 1988. Il modello accusatorio da lui introdotto impone, per logica giuridica, la separazione delle carriere per garantire la terzietà.
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