LA GRAVITÀ INDIZIARIA DI COLPEVOLEZZA QUALE PRESUPPOSTO PER L’APPLICAZIONE DI UNA MISURA CAUTELARE PERSONALE
di Antonio Baudi – 1.Il dato esperenziale. Si immagini, ma con rispettoso senso della realtà effettuale, un dialogo tra un cautelando e il giudice competente per il provvedimento cautelare: “Mi ascolti. Il mio compito è di eseguire il precetto di legge in materia per cui le faccio rilevare che, in base agli elementi probatori addotti dal PM, lei ha commesso il reato che l’inquirente, allo stato delle indagini, le ascrive; inoltre tale giudizio la esporrebbe a condanna comportante la irrogazione di una pena reclusiva; orbene, in attesa ed in vista del processo, se e quando arriverà, lei è anche un soggetto pericoloso perché (a) può sottrarsi al giudizio finale dandosi alla fuga, perché (b) può inquinare la genuinità delle prove da acquisire, perché (c) può commettere altri reati di un certo rilievo; ne consegue, che, poiché l’ordinamento esige che tutto questo non avvenga, lo sottopongo ad una misura cautelare”. Due immediate considerazioni: a) Il discorso del giudice rispecchia fedelmente il senso della legge nella sua fase applicativa e dunque chiarisce la reale natura del provvedimento cautelare, la cui fattispecie fondante è comprensiva di due requisiti nominati rispettivamente, per tradizione civilistica, il “fumus bini iuris” e il “periculum in mora”. b) In realtà il dialogo è inventato posto che non esiste, e non è comunque consentito dal sistema, un preliminare incontro/interrogatorio tra giudice e cautelando. L’interlocuzione avviene tra PM che chiede la misura e allega gli elementi indiziari a sostegno e giudice che deve provvedere, inaudita et altera parte. È notorio che tale incidente giurisdizionale si inserisce nella fase delle indagini preliminari, garantite da segretezza sul punto, come è notorio che esso prelude all’esercizio dell’azione penale, sicché lo spazio probatorio residuo è riservato alle contro-ragioni difensive. Ferma la regola generale per cui, ex art. 192.2 c.p.p., “a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio” nell’ordinanza cautelare siano esposti gli “indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza” solo sulla carta vale il disposto di cui alla lettera c-bis dello stesso comma che richiede che siano esposti i “motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa”. Poiché nella prassi non è praticato alcun contraddittorio e la misura applicata si esegue all’insaputa del sottoposto, l’incontro con il cautelato avviene dopo, in sede di interrogatorio di garanzia espletato dallo stesso giudice cautelante in tempi brevi: in tale sede l’interrogato, ove decida di avvalersi della facoltà di non rispondere, espone quanto ritiene in sua difesa eventualmente producendo documentati elementi di prova contrari, in concreto di difficile efficacia se quel giudice non eserciti la (per vero doverosa) autocritica, revisionando quanto deciso. 2. La situazione effettuale e l’analisi critica della disciplina. Si utilizza l’aggettivo “critica” in senso costruttivo al fine di evidenziare, anche confutando tesi di portata diversa, la corretta interpretazione delle disposizioni legislative e la ponderata considerazione dei valori sostanziali incidenti. 2.1 Innanzi tutto quanto ai rapporti tra giudizio cautelare e giudizio finale. Il problema si pone in quanto il principio accusatorio esige che il giudizio avvenga davanti al giudice del processo e che, prima della fase giurisdizionale, esistano solo investigazioni finalizzate all’esercizio dell’azione penale, nel cui ambito il legislatore usa una terminologia differenziata in tema di prova. Non va ignorato però che, nella realtà, lo scopo degli inquirenti è quello di acquisire elementi di prova sul fatto di reato finalizzati a sostenere l’accusa, sicché, se la prova si forma dialetticamente in dibattimento o comunque nel successivo giudizio, nella sostanza gli elementi acquisiti in fase investigativa rilevano per valutare la consistenza della ipotesi delittuosa. Del resto, la terminologia è chiaramente sostanziale: compito della P.G. è quello di acquisire notizie di “reato” e le investigazioni mirano ad acquisire elementi che avvalorino la sussistenza di un illecito penale, tali da legittimare l’esercizio dell’azione in vista della condanna. Se il processo penale si evolve in funzione dell’accusa formulata dal PM mediante l’esercizio dell’azione penale e sulla base della valutazione delle prove acquisite per cui, per regola, la ricostruzione compiuta del fatto nei suoi profili rilevanti avviene dialetticamente, mediante il metodo della conferma e della confutazione dell’accusa tramite una rigorosa articolazione ed argomentazione retta dal principio del contraddittorio, è anche indubitabile che non esiste solo la valutazione espressa nel giudizio finale e che anzi la fase processuale del giudizio è preceduta da quella investigativa ove la complessità dell’accertamento sul fatto di reato è caratterizzata da una pluralità di valutazioni incidentali operanti nel corso di essa, i più importanti dei quali sono il giudizio preliminare sulla introducibilità in giudizio dell’azione penale e, prima ancora, quella relativa all’applicazione di misure cautelari la cui operatività avviene notoriamente quando ancora non è stata esercitata l’azione penale. È dato statistico che detta ultima valutazione si pone usualmente nel corso delle indagini preliminari ove non esiste alcun contraddittorio tra le parti, il che accentua il doveroso controllo imparziale e garantistico del giudice. Preme in questa sede sottolineare che tale constatazione non deve compromettere il necessario rapporto strumentale tra cautela e merito finale e che invece, ferma la sempre incombente presunzione di innocenza, occorre sia rispettato il valore della persona del cautelando, che risulta concretamente leso nelle sue libertà, fino a quella personale, la più rilevante. Ribadito che la valutazione dei dati offerti dal PM è indiscutibilmente riferita al fatto che si ascrive al cautelando, quindi al tema investigativo per cui si procede, condizione necessaria per comprimere, sotto diversi profili, ed in via di eccezione, le libertà del destinatario fino, in via estrema, mediante una misura restrittiva, occorre censurare orientamenti indulgenti e apportare argomenti che confortino la tesi secondo la quale la valutazione del giudice è attinente al merito in fase cautelare. In generale il lemma merito è polisemico: riguarda la questione di fatto in contrapposizione alla questione di diritto; riguarda la questione di diritto sostanziale in contrapposizione a quella di diritto processuale; riguarda la questione di sostanza in contrapposizione a quella di forma. E necessita aggiungere che merito non è termine riservato al solo giudizio finale, configurandosi nel sistema sia un merito