IL “GRATUITO” PATROCINIO A “SPESE” DEL DIRITTO DI DIFESA!
di Renata Accardi* Il diritto di difendersi nel processo (qualunque natura esso abbia) è previsto dal dettato costituzionale e dal D.P.R. 115 del 2002 e successive integrazioni e modifiche, che prevedono anche che la parte processuale possa scegliere un proprio difensore di fiducia che sarà retribuito dallo Stato. Ma la retribuzione che il professionista abilitato al patrocinio a spese dello Stato, per previsione legislativa (art. 82 DPR cit.) non è quella prevista dalle tabelle dei compensi, essendo lasciata alla discrezione del giudice che liquiderà gli onorari, avendo questi un limite massimo nel valore medio della tariffa professionale e la possibilità (art. 106 bis e 130) di ridurli da un terzo alla metà. Al netto della reale mancanza di una giustificazione ancorata ai principi costituzionali di tale differenza di trattamento, l’attuale normativa comporta che nel caso in cui il giudice decida di non applicare il valore medio della tariffa, ma quelli minimi, cosa tutt’altro che infrequente, la riduzione dei compensi di cui agli articoli 106-bis e 130 del citato testo unico porterebbe a liquidare gli onorari dell’avvocato al di sotto dei minimi tariffari. Non c’è chi non comprenda che questa situazione porta (unitamente ai ritardi nelle liquidazioni e ai tempi biblici nei pagamenti) ad allontanare i professionisti da questo istituto con compromissione dei diritti delle parti processuali a poter scegliere un difensore di fiducia e, inutile nasconderlo, ad avere una difesa completa (si pensi al costo di indagini difensive o di consulenti che coadiuvino nella difesa). Tuttavia in alcune aree geografiche maggiormente depresse nelle quali l’accesso al beneficio è più che frequente il difensore non ha che da assoggettarsi allo svilimento della sua professionalità dovendo rinunciare alla rivendicazione della stessa pur di garantire la difesa del cittadino che a lui si rivolge Svilenti sono poi le pratiche attuate ormai frequentemente di adozione di protocolli che nel tentativo non sempre riuscito di porre un freno alla discrezionalità (al ribasso) delle liquidazioni costituiscono una (quasi) inevitabile resa rispetto alla legittima pretesa di una giusta remunerazione dell’attività professionale prestata. Eppure, l’Art. 36 della Costituzione prevede che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. Sul solco di tale previsione costituzionale e nel rispetto della professionalità dei difensori è stata emanata la Legge n. 49/2023, che nella contrattazione pubblica ha istituito che gli onorari debbano essere rispettosi delle tariffe professionali ed equi in riferimento alla prestazione svolta. In particolare, si è introdotto il concetto di equo compenso, che è stato definito come la “corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi” previsti dalle tariffe professionali vigenti (art. 1). Dopo tale previsione legislativa e nel solco di una situazione economica che sta inibendo la possibilità per i cittadini di difendersi, rinunciando sia alla nomina del difensore, sia a seguire il processo che lo riguarda, si è già pensato di presentare una proposta di legge che apportasse modifiche agli articoli 106-bis e 130 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. L’incipit della proposta è esemplificativo della volontà di riconoscere la giusta dignità a chi si iscrive negli elenchi dei professionisti che prestano la propria attività anche con l’istituto del Patrocinio a Spese dello Stato: “La presente proposta di legge risponde all’esigenza di porre fine a una forma di discriminazione che colpisce gli avvocati che dedicano le loro competenze e la loro passione alla difesa dei cittadini meno abbienti, nel rispetto delle disposizioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115”. De iure condendo, l’Osservatorio, al termine di una capillare disamina delle maggiori criticità del sistema normativo da un lato e delle sue (mal)prassi applicative dall’altro ha ritenuto di formulare una sua proposta modificativa che tenta, senza presunzione di esaustività: di porre rimedio ai margini applicativi della normativa che oggi consentono sperequazioni immotivate e, a nostro avviso, contrarie ai dettati costituzionali di integrare la normativa per renderla più aderente alle realtà procedimentali e processuali, a garanzia della effettività del diritto di difesa del cittadino non abbiente di ridurre i margini interpretativi entro i quali si incuneano certe interpretazioni applicative ideologicamente e pregiudizialmente orientate a discapito del difensore al fine ultimo e con l’auspicio di restituire dignità al professionista e garantire i diritti costituzionalmente previsti ai cittadini che hanno necessità di essere difesi. Spesso infatti la legittima rivendicazione di un compenso adeguato all’attività professionale offerta dal difensore è stata tacciata di “settaria rivendicazione salariale” e non solo da parte dell’opinione pubblica (evidentemente da quella che non ha mai avuto necessità di ricorrere al beneficio) ma anche da parte di “addetti ai lavori”. Orbene, posto che in ogni caso nulla di disonorevole si trova in chi rivendica di essere adeguatamente retribuito per quella che, seppur bellissima e nobile, è pur sempre una professione che si sceglie come attività lavorativa, a noi spetta evidenziare come ciò che si difende è senza dubbio l’effettività di un diritto che sulla carta viene riconosciuto al cittadino ma, di fatto, viene mortificato nella sua esplicazione. Purtroppo anche la stessa avvocatura ha talvolta sottovalutato l’importanza del tema che oggi invece riteniamo meriti una particolare attenzione sia perché l’istituto è tutt’altro che marginale, stando ai numeri delle pratiche di accesso allo stesso, sia perché nella sua applicazione pratica finisce con il marginalizzare la funzione difensiva ed in questo senso riguarda tutti, non soltanto quelli tra noi che, volenti o nolenti, devono farvi accesso. Mortificante, infatti, la disamina che l’osservatorio nella sua attività di ricerca ha fatto di provvedimenti abnormi, sia in tema di ammissibilità, sia in ordine alla liquidazione dei compensi, che più che meritare impugnazione, destano indignazione in chi spende professionalità, impegno e dedizione alla funzione difensiva. Da tali condivise considerazioni e dal lavoro di ricerca ed
IL “GRATUITO” PATROCINIO A “SPESE” DEL DIRITTO DI DIFESA! Leggi tutto »