LE ESIMENTI COME CAUSE DI NON PUNIBILITÀ
di Antonio Baudi – 1.Il tema ed il movente. Il tema evocato nel titolo ha per oggetto le cause di giustificazione, argomento problematico, particolarmente discusso nella dottrina penalistica, sia sostanziale che processuale: è discusso sul piano sostanziale perché concernente l’inquadramento dell’istituto nella struttura dell’illecito penale; ed è discusso sul piano procedurale perché concernente la formula corretta da adottare nel dispositivo della sentenza. Il movente del presente studio si riconduce al precedente scritto nel quale sono stati trattati i casi giudiziari di Giorgio Welby e di Marco Cappato, i cui rispettivi giudicabili, imputati, nel primo caso, per il delitto di omicidio del consenziente (ex art. 579 c.p.) e, nel secondo caso, per istigazione al suicidio (ex art. 580 c.p.), hanno conseguito un risultato processuale favorevole proprio in virtù della ritenuta incidenza di una esimente. I relativi esiti vanno rievocati in sintesi. Quanto al caso Welby il giudizio, proseguito davanti al giudice per l’udienza preliminare, si concluse nel luglio 2007 con una sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’imputato, il dott. Mario Riccio, perché “non punibile per la sussistenza dell’esimente dell’adempimento del dovere” in quanto la condotta tenuta rientrava nella causa di non punibilità di cui all’articolo 51 del codice penale. Il giudicante ha ritenuto di affrontare in via preliminare il giudizio di responsabilità penale esplicitando che il delitto sarebbe stato configurabile in tutti i suoi elementi, sia oggettivo che soggettivo, se non fosse intervenuta l’esimente dell’adempimento del dovere, qualificata come “causa di non punibilità”. Pertanto la decisione mostra di aderire all’orientamento dottrinario secondo il quale: • la valutazione di globale illiceità del fatto commesso è pregiudiziale rispetto all’operatività della causa di giustificazione; • in particolare non avrebbe senso giustificare un fatto che non è colpevole perché commesso senza dolo e senza colpa. Secondo tale impostazione di pensiero si richiede che prima sia compiuto il giudizio sulla sussistenza del reato e sulla potenziale responsabilità, solo in seguito occorrendo valutare la rilevanza, oppositiva, dell’esimente, nel caso di specie identificata nell’adempimento del dovere. Ne deriva che le esimenti, inquadrate tra le cause di non punibilità, sono esterne rispetto al giudizio sul fatto di reato, la cui illiceità è comprovata oggettivamente e soggettivamente. Quanto al caso Cappato, va rammentato che per effetto della nota sentenza della Corte costituzionale il disposto dell’art. 580 cod. pen. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017, ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi dianzi indicati, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. Alla luce di tale pronuncia la Corte di Assise di Milano, con la sentenza 23 dicembre 2019 n. 8, ha definito il processo a carico di Marco Cappato con assoluzione piena per l’imputato “perché il fatto non sussiste”. Interessante la motivazione che, per quel che interessa in questa sede, si riporta testualmente: “Ritiene la Corte di non poter ignorare gli argomenti prospettati dalle parti in ordine alla formula assolutoria da adottare, pur non ritenendo di svolgere sul punto una trattazione teorica che esulerebbe dai limiti della sentenza. La pronuncia della Corte Costituzionale non ha definito in modo esplicito se l’area di non punibilità necessaria per escludere l’applicazione di una sanzione penale per le condotte di aiuto al suicidio che presentano i requisiti più volte richiamati, debba intendersi come riduzione dell’ambito oggettivo della fattispecie incriminatrice, riducendone la portata, ovvero se le circostanze definite nei quattro requisiti configurino una scriminante. Ritiene la Corte di aderire all’orientamento espresso dalla pubblica accusa e da uno dei difensori dell’imputato, secondo il quale la pronuncia di incostituzionalità riduce sotto il profilo oggettivo la fattispecie, escludendo che configuri reato la condotta di agevolazione al suicidio che presenti le caratteristiche descritte. È il meccanismo di riduzione dell’area di sanzionabilità penale che non opera come scriminante ma incide sulla struttura oggettiva della fattispecie. In definitiva, il discorso sugli effetti dell’intervento della Corte interessa più gli studiosi del diritto penale che pubblici ministeri, avvocati e giudici, perché l’affermazione di non punibilità è elemento che incide in ogni caso sul piano oggettivo anche con riguardo alle cause di giustificazione (ritenute dalla dottrina elementi negativi della fattispecie nel suo profilo oggettivo). Tanto ciò è vero che, secondo l’orientamento tripartito della fattispecie penale, la formula assolutoria è quella della insussistenza del fatto. La corte giudicante, a prescindere dal chiaro refuso riguardante l’ultimo riferimento alla concezione tripartita, mostra di intendere la “causa di non punibilità”, così qualificata dalla Consulta, come riferita al fatto, ritenuto insussistente perché non tipico e comunque giustificato. Pare necessario chiarire il significato del termine “fatto” utilizzato in sentenza. Se il termine si riferisce al fatto storico, esso, chiaramente ricostruito come commesso dall’imputato, non può dirsi “insussistente”. Se invece, ferma restando la ricostruzione e descrizione del caso concreto, il termine è stato riferito alla fattispecie penale, come delimitata a seguito della pronuncia di incostituzionalità, ne consegue che, certamente escluso il richiamo alle condotte di determinazione ed istigazione, occorre chiarire come la corte giudicante abbia inteso il terzo profilo della condotta descritta dalla norma, cioè l’aiuto strumentalmente commesso in favore del suicida: tale comportamento penalmente resta illecito e punibile salvo che non ricorrano in concreto le condizioni in presenza delle quali la condotta di aiuto secondo la valutazione della Consulta “non è punibile”. Ricorrendo tale situazione che integra la sussistenza storica del fatto che la Consulta ha sottratto dalla sfera delittuosa della previsione normativa
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