Comunicato

UNA SVOLTA STORICA CON LA NUOVA CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA

  a cura di M. Valeria Ferrara –  Come già anticipato qualche settimana fa, la Camera Penale di Catanzaro e l’Osservatorio Avvocati Minacciati hanno il piacere di confermare l’apertura alla firma della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione della professione di avvocato, avvenuta in occasione della riunione dei Ministri degli Affari Esteri tenutasi a Lussemburgo il 13 e 14 maggio 2025. Si tratta del primo strumento giuridico internazionale dedicato espressamente alla tutela dell’avvocato. La Convenzione nasce in risposta a un preoccupante incremento di atti di intimidazione, violenza, interferenze e minacce nei confronti dell’attività forense, fenomeni che minano l’autonomia e l’indipendenza della difesa, come già più volte denunciato in precedenti comunicati di questo Osservatorio. Alla firma hanno già aderito numerosi Stati: Andorra, Estonia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Macedonia del Nord, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Belgio, l’Islanda, il Regno Unito e la Repubblica di Moldova, a conferma dell’urgenza e della rilevanza di un’azione condivisa a tutela della professione legale. Il testo della Convenzione sancisce obblighi chiari per gli Stati firmatari, imponendo la garanzia che gli avvocati possano esercitare il proprio ruolo senza subire minacce, molestie, aggressioni fisiche o indebite interferenze. Laddove tali comportamenti configurino reati, gli Stati hanno il dovere di svolgere indagini rapide, indipendenti ed efficaci. Tratta, inoltre, aspetti come il diritto di esercitare la professione, i diritti professionali, la libertà di espressione, la disciplina professionale e specifiche misure di protezione per gli avvocati e le associazioni professionali. Riconosce, poi, il ruolo fondamentale delle associazioni forensi nella promozione e nella difesa dell’indipendenza dell’avvocatura, prevedendo la loro tutela come enti autonomi e indipendenti. L’entrata in vigore del trattato sarà subordinata alla ratifica da parte di almeno otto Stati, sei dei quali dovranno essere membri del Consiglio d’Europa. Il rispetto delle disposizioni sarà monitorato da un comitato di esperti e dalle parti aderenti, in un quadro di vigilanza multilaterale. Si auspica, pertanto, una celere ratifica da parte del Parlamento italiano e si sottolinea l’importanza di un’effettiva implementazione delle tutele previste. La Convenzione rappresenta un passo imprescindibile nella costruzione di una giustizia realmente equa, nella quale l’avvocato possa esercitare il proprio mandato senza timori né condizionamenti.

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CALABRIA GIUDIZIARIA DA DIMENTICARE

Lettera aperta al presidente della sezione catanzarese di ANM. La lettura della Sua intervista a magistratura.it pubblicata nei giorni scorsi spinge a riflettere sulle ragioni per cui in Calabria sui temi sensibili non si riesce a sviluppare un sereno confronto tra magistratura e avvocati penalisti. Non è una scoperta, ce ne siamo fatti una ragione. E nemmeno varrebbe la pena di prendere penna e calamaio per acconciare repliche. Ma nel caso specifico non se ne può fare a meno perché il merito delle questioni trattate nell’intervista attiene ai diritti calpestati degli ultimi. E gli ultimi per noi son tutti quelli che nel conflitto con l’autorità ci rimettono dignità e libertà, la carne e lo spirito insieme. Si tratta quindi di argomenti da affrontare con certo rigore che non si prestano a polemiche strumentali. Il merito dunque. Non coglie nel segno quando ci rimprovera scarsa attenzione alla carenza degli organici nel distretto di Catanzaro. Vero il contrario perché le Camere Calabresi – a quanto pare nemmeno ascoltate dai diretti interessati- hanno ripetutamente denunciato le difficili condizioni, le carenze strutturali e il malsano squilibrio tra l’organico di GIP e giudici del Riesame da un lato, quello dei PM dall’altro, con inevitabili conseguenze sulla qualità del prodotto cautelare; Nemmeno sulle ragioni per le quali si imbastiscono processi di massa dalle nostre Imposte dalla tipologia di reato? No Presidente, i maxiprocessi non sono un castigo di Dio. È impopolare, ma terribilmente vero, che i maxi costruiti a misura di inevitabile ingiustizia, consentono importanti economie di scala: si impiegano 3 giudici per giudicare 220 in un unico processo di massa piuttosto che 30 per giudicarne lo stesso numero in 10 processi da 20 imputati ciascuno. È una scelta organizzativa nociva e non certo obbligata. Penalizza il diritto ad un processo giusto che soccombe sotto i colpi dell’imperante efficientismo a basso costo che dà l’impronta al sistema. Abbiamo chiesto di discutere esattamente di questo negli ultimi 5 anni; e con la forza di cui siamo capaci anche da ultimo con i documenti prodotti tra giugno ‘24 e gennaio ‘25 al culmine della mobilitazione sui temi della Calabria Giudiziaria. Nessun segno di attenzione sul punto; Apprendiamo che la “cura” Gratteri ha diffuso entusiasmo contagioso. Nessuno può impedirLe di sentirsi parte di quella temperie. Non scopriamo oggi che i grandi numeri della gestione del predestinato sono stati il prodotto di un’opera collettiva alla quale ha partecipato (con entusiasmo, pare) la magistratura giudicante saldata al potere inquirente dalla missione di sbarrare la strada al nemico comune. E non dimentichiamo che chi tra voi non si è fatto contagiare dall’entusiasmo ha pagato un prezzo molto alto. Le Camere Penali calabresi avrebbero invece peccato moltissimo, lo spiega bene nella Sua intervista, strumentalizzando dati sulle detenzioni ingiuste per attaccarvi sul punto dolente dell’errore giudiziario e delle sue Avremmo formulato accuse infondate che si sarebbero dissolte dopo i chiarimenti della Presidente della Corte d’Appello e ci saremmo anche visti costretti a revocare l’astensione basata su temerarie denunce di camuffamento dei numeri delle detenzioni ingiuste. Sappiamo bene che la categoria cui Lei appartiene è tanto influente da potersi permettere di riscrivere la storia secondo le esigenze del momento. Anche quella recente dei nostri turbolenti rapporti. Ma, perché l’opera di revisione si compia, dall’altra parte dovrebbero esserci uomini smemorati o tanto servili da essere disposti a rinunciare alla memoria. Noi, per il momento, giriamo al largo dagli uni e dagli altri. E quindi cerchiamo di riportare a galla i fatti che Lei sembra aver perso di vista: Catanzaro negli anni bui che tanti entusiasmi hanno acceso tra le vostre fila, era il luogo in cui si stabilivano priorità per le pretese cautelari del pubblico ministero dirottando invece su un binario morto istanze di libertà degli imputati; Nella primavera del 2023, la lettura superficiale delle statistiche ministeriali in materia di riparazione da detenzione ingiusta faceva pensare che Catanzaro fosse diventata un’isola felice (nel 2022 appena 800.000 euro di risarcimenti, al decimo posto tra le Corti d’Appello italiane). Si trattava di una falsa apparenza che dipendeva dall’effetto combinato della paralisi dei ruoli della riparazione per ingiusta detenzione (i fascicoli si accumulavano negli scaffali) e dal tasso singolarmente elevato di decisioni di rigetto delle richieste di risarcimento; La lettura in controluce delle statistiche elaborate dal Ministero in realtà rivelava che, in materia di ingiusta detenzione, Catanzaro aveva il record italiano di incremento dell’arretrato nel periodo 18-22 (+42%) oltre che una percentuale di rigetti, il 61%, più alta di 35 punti rispetto a quella di Reggio Calabria (26%), e di 13 punti rispetto alla media nazionale (48%). Lo denunciammo apertis verbis come siamo abituati a fare. La Presidenza della Corte d’Appello, che non aveva mai fornito i dati che le Camere Penali nei mesi precedenti avevano richiesto, dopo la pubblicazione del rapporto annuale in realtà, aveva ben poco da precisare. A parte il refrain della maestà offesa (le “Camere Penali sono istituzionalmente scorrette”), nel merito le giustificazioni espresse a proposito di tanta singolare situazione, confermavano la verità dei fatti denunziati. Spiegava la Presidente pro-tempore, che il congelamento dei ruoli della riparazione per ingiusta detenzione dipendeva soltanto dalla necessità di destinare le risorse limitate alla celebrazione dei processi con detenuti. Ma si trattava di giustificazioni deboli. Anzi debolissime. Lo dimostrava il risultato impietoso del confronto con i dati di Reggio Calabria, sede con carenze endemiche di organico e con elevatissimo numero di processi con detenuti, che tuttavia nello stesso periodo (18-22) non solo non aveva accumulato arretrato ma lo aveva ridotto del 17%, definendo il doppio delle procedure rispetto a Catanzaro (755 contro 355). Comprenderà Presidente, che una volta scoperchiata la pentola, messo a nudo il “metodo Catanzaro” di camuffamento dei danni collaterali della giustizia penale, l’astensione si tenne regolarmente. Quella e tutte le altre proclamate tra il 2021 e il 2025. Altro che costretti a revocarle. Anche perché tutte le volte in cui i penalisti calabresi hanno denunciato pratiche oppressive dei diritti di difesa, si sono scontrati con la sistematica indisponibilità delle rappresentanze istituzionali a discuterne pubblicamente. Per

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SOLIDARIETÀ AL COLLEGA NATALE MORRONE

La Camera Penale di Catanzaro e l’Osservatorio Avvocati Minacciati esprimono la loro più sincera solidarietà all’Avvocato Natale Morrone, vittima della grave aggressione avvenuta nel suo studio a Corigliano-Rossano, nel cosentino. Il professionista è stato accoltellato da un cliente, con il quale aveva concordato un appuntamento. Durante il colloquio, quest’ultimo ha estratto un coltello dalla tasca e ha colpito l’Avvocato. Dopo il vile gesto, il soggetto si è inizialmente dato alla fuga, per poi costituirsi poche ore dopo presso la Questura di Cosenza. Le condizioni cliniche del Collega sono apparse subito gravi ma, fortunatamente, sono in netto miglioramento e non è in pericolo di vita. In questo momento difficile, siamo vicini al Collega aggredito e alla sua famiglia, esprimendo il nostro sostegno e augurandogli una pronta e completa guarigione.

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CALABRIA GIUDIZIARIA NEL FANGO

Il Coordinamento dei Presidenti delle Camere Penali calabresi nelle riunioni del 6, 9,10 e 11 Dicembre ha assunto la determinazione: • di manifestare solidarietà e adesione alle ragioni dell’astensione del 18 dicembre prossimo indetta dalla CP di Cosenza; • di confermare e calendarizzare l’astensione regionale programmata con la delibera dell’11 settembre e di impegnare le Camere Penali territoriali nella prosecuzione dell’azione di denuncia e sensibilizzazione sui temi della giustizia penale calabrese già al centro dello stato di agitazione dichiarato il 27 giugno 2024, e degli stessi interventi di UCPI e da ultimo il documento congiunto dell’11 Dicembre della Giunta e dell’Osservatorio Doppio Binario intitolato “Le Corti d’Appello itineranti: l’aula bunker allagata e la crisi del modello”.   La Camera Penale di Cosenza – che insieme a tutte le Camere Penali Calabresi prosegue nella battaglia per i diritti nei processi nei quali si consuma la negazione dei diritti – ha indetto un’astensione dalle attività giudiziarie per il 18 dicembre per denunciare l’impatto del processo-monstre detto volgarmente “Reset”, sull’organizzazione della giustizia penale nel circondario cosentino e sull’esercizio dignitoso della funzione difensiva. L’astensione “a staffetta” di 11 settimane avviata dalla Camera di Cosenza nel settembre scorso, proseguita dalle altre Camere Penali dei due distretti calabresi, continua oltre i tempi inizialmente programmati. Perché la pretesa di gestire l’insopportabile carico di nocive conseguenze dei singoli processi oceanici, prescindendo dagli interessi degli attori principali del processo, aggrava i problemi. E svela la tossicità di un sistema emergenziale imploso sotto la pioggia battente di inizio autunno. Le domande contenute nel deliberato dell’astensione dei penalisti cosentini, rivolte alle Autorità, sono le medesime, pertinenti e sensate, che il Coordinamento delle Camere Calabresi pone, inascoltato, sin dal 2020, denunciando l’insostenibilità dei processi ingovernabili, la dissipazione di risorse che molto meglio potrebbero impiegarsi per far funzionare la giustizia ordinaria, piuttosto che destinarsi a sostenere i costi elevatissimi dei processi speciali, sovraccarichi dell’apparato di simboli che immancabilmente accompagna le pratiche della giustizia penale del nemico. L’ultimo più recente esempio quello della corsa a spendere per riparare l’aula attrezzata a misura dei processi di massa messa fuori uso delle piogge autunnali piuttosto che dotare del minimo di attrezzatura tecnologica le aule ordinariamente dedicate nei palazzi di giustizia alla celebrazione dei processi penali. In cui ormai la presenza dematerializzata degli imputati detenuti non richiede spazi smisurati ma solo impianti di telecomunicazioni adeguati. Ed è per tale ragione che ci pare inaudita ed inaccettabile la decisione di celebrare il processo c.d. Rinascita Scott, simbolo della stagione del gigantismo, in un’altra regione, nella aula bunker di Catania, a centinaia di chilometri di distanza dalla sede propria, con ancor più alto prezzo da pagare in termini di diritti inagibili delle parti e dei loro difensori. Di ieri la notizia che anche altro processo monstre, c.d. Recovery, subirà la stessa sorte. Se il ricorso sistematico ai maxi-processi, con numeri di imputati da capogiro, ha sterilizzato l’aspettativa del cittadino di ottenere una risposta di giustizia qualitativamente accettabile (essendo è evidente il tasso di sommarietà -e di errore- del giudizio che ogni processo di massa reca con sé); oggi, a causa dell’implosione organizzativa della cattedrale costruita nel deserto lametino, l’impronta inquisitoria ha raggiunto una vetta più alta. Un esercito di persone, siano esse imputate (e presunte innocenti), siano esse persone offese, si troverà proiettato in una realtà processuale distopica, e dovrà fare i conti con la delocalizzazione dei maxi-processi a 400 km di distanza, così determinando lo svuotamento definitivo di ogni possibilità di esercizio concreto del diritto di difesa. Con conseguenti costi ingenti sul piano personale, familiare, economico e sociale per gli individui, per i difensori, per i giudici e lo Stato e, a ben vedere, per la stessa tenuta del sistema democratico. Constatiamo quindi come sia rimasto inascoltato l’appello dei penalisti calabresi, da luglio scorso ancor più pressante con la proclamazione dello stato di agitazione, rivolto a chi ha il compito e la responsabilità di traghettare la giurisdizione oltre le logiche emergenziali degli ultimi anni, che hanno comportato rinunce, non solo sul terreno dei diritti, ma anche su quello della razionale gestione delle limitate risorse disponibili (oltre centomila euro annui di spese di manutenzione ordinaria per l’ “hangar” attrezzato di Lamezia). Dalla nostra parte, molte buone ragioni che la delibera della CP di Cosenza bene illustra; dall’altro lato, una gestione del servizio giustizia che nega quello che dovrebbe immancabilmente assicurare. In primo luogo, le garanzie del giusto processo che sono l’esatto opposto della quotidiana mortificazione del diritto di difesa svuotato di effettività e ridotto a strumento di formale legittimazione dei verdetti della giustizia speciale. Lo svilimento del diritto di difesa ha tracciato, in questi anni, solchi profondi nei rapporti tra il foro e la magistratura. È necessario uscire dal tunnel infinito dell’emergenza e ritrovarsi dentro il comune perimetro costituzionale; in particolare, nel corredo valoriale – non negoziabile – del giusto processo scolpito nell’art. 111 della nostra Magna Charta, nella consapevolezza che la perenne logica emergenziale mortifica quel quadro assiologico e ci pone fuori dallo statuto di legalità che i costituenti hanno disegnato per regolare il difficile rapporto tra autorità e libertà, tra esigenze di difesa sociale e tutela delle libertà individuali. Urge pertanto ritrovare una grammatica comune che veda nella Costituzione e nei valori di civiltà in essa scolpiti l’unico faro capace di illuminare il doveroso cammino unitario della (e nella) giurisdizione. Ed allora sono confermate tutte le premesse perché l’iniziativa di denuncia dei penalisti calabresi per i diritti e contro la politica dei processi di massa con le sue conseguenze estreme, prosegua con un programma di manifestazioni in concomitanza con l’astensione regionale, già preventivata nel deliberato dell’11 settembre 2024, che i presidenti delle camere calabresi riuniti in sede di coordinamento hanno deciso di attuare nelle date del 15, 16, 17 gennaio 2025. Per necessario rispetto del principio di rarefazione delle astensioni nei servizi pubblici essenziali l’astensione non riguarderà le attività giudiziarie nel settore penale del circondario di Cosenza, in ragione della astensione già proclamata, per ragioni analoghe, dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cosenza per il 28-29-30

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“I CIMITERI DEI VIVI” E L’ULTIMO DEI MOLTI SENZA RESPIRO. SUICIDIO N. 81. CRONACA DI MORTI ANNUNCIATE

Soltanto pochi giorni fa un giovane detenuto di 28 anni si è tolto la vita nella casa di reclusione di Catanzaro. La notizia, diffusa dalla stampa, suscita tristezza e rinnova il sentimento di sgomento, ci tocca da vicino, perché si tratta di un suicidio avvenuto nelle carceri cittadine e perché questo estremo gesto di disperazione denuncia ancora una volta, ove ve ne fosse la necessità, le gravi inadeguatezze che accompagnano la detenzione. Non si tratta soltanto di rimarcare le condizioni di sovraffollamento, con le ricadute sulla salubrità dei luoghi, sull’assistenza sanitaria, sulla sicurezza e sui percorsi rieducativi, che non sono carenze di poco momento, ma di prendere coscienza che in carcere sono detenuti anche cittadini estremamente fragili, per condizioni di dipendenza dalle sostanze stupefacenti o per via di patologie psichiatriche. È’ il caso del giovane che ha deciso di togliersi la vita a Catanzaro, il quale sommava in sé le due fragilità e che aveva chiesto di poter essere allocato in una struttura più prossima alla residenza dei familiari e la fruizione di cure psichiatriche aggiuntive, a quanto pare senza esito, per come riportato dalla stampa. Sono note le molte iniziative assunte dalla società civile e dalle associazioni impegnate in questo campo, tra cui – in prima linea – l’Unione delle Camere Penali Italiane e le Camere penali territoriali che, ormai da lungo tempo, denunciano le difficili ed inaccettabili condizioni della detenzione nelle carceri italiane. Tuttavia, l’impegno profuso, pur alimentando il dibattito nel discorso pubblico e sollecitando la coscienza sociale ad occuparsi delle drammatiche condizioni dei “cimiteri dei vivi” (come li definì Filippo Turati in un Suo celebre discorso), non riesce a scuotere i palazzi della politica, nei quali il tema è volontariamente trascurato, chiusi, come sono, in una sorda indifferenza. A rendere più amara la distanza dalla vita reale, la presa d’atto che al Governo si è piuttosto impegnati a compiacersi del disagio, se non anche della sofferenza inferta ai detenuti nei trasferimenti sui blindati della Polizia Penitenziaria; o, ancora, si avverte il senso della sconfitta solo a ipotizzare l’adozione di procedure premiali che, senza automatismi e con adeguate garanzie, potrebbero nel breve periodo ridurre la popolazione carceraria, determinando così il miglioramento  delle condizioni di vita all’interno degli Istituti di pena e la fruizione di percorsi di risocializzazione e sanitari almeno sufficienti, se non anche efficaci. Senza entrare nel merito della vicenda particolare e lontano dall’esprimere giudizi che non competono, si tratta però e una volta per tutte di prendere coscienza che lo Stato, quando assume la custodia dei cittadini detenuti, ha degli obblighi che non può disattendere, così come nessuno di noi può tollerare che le condizioni di vita nelle carceri possano incidere sulla scelta di smettere di vivere. Non si pensi, allora, che l’Ultimo dei Molti che si sono tolti la vita era un tossicodipendente o un paziente psichiatrico e che l’epilogo era inevitabile,  perché l’Ultimo ed i Molti hanno smesso di vivere mentre erano in carcere e non altrove, in una condizione nella quale lo Stato se ne era assunto la custodia, e per cui era tenuto a curarli e a salvaguardarli anche da se stessi. Rinnoviamo la nostra denuncia auspicando “se non ora quando” che la Politica nazionale voglia farsi carico dell’adempimento dei doveri dello Stato verso i cittadini detenuti e tra questi con priorità verso i più fragili.    Il Consiglio Direttivo e l’Osservatorio Carcere  

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AGGIORNATO IL PROTOCOLLO D’INTESA PER IL PATROCINIO A SPESE DELLO STATO

Siglato oggi, 8 ottobre 2024, l’aggiornamento del Protocollo d’intesa stipulato nel 2017 fra il Tribunale di Catanzaro, l’Ordine degli Avvocati di Catanzaro e la Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora” per la liquidazione degli onorari dei difensori dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato e dei difensori d’ufficio degli irreperibili, in materia penale. La modifica licenziata in data odierna, resasi necessaria a seguito dell’entrata in vigore del D.M. 147/2022 e del rincaro della vita nel periodo post pandemico, contribuirà al raggiungimento degli obiettivi posti a giustificazione del Protocollo: agevolare l’accesso all’istituto del patrocinio a spese dello Stato ai soggetti non abbienti, garantire valutazioni omogenee e rispettose del decoro e della professione forense, individuare parametri di liquidazione dei compensi tali da rendere effettiva, rapida ed agevole la loro determinazione e ridurre il numero delle opposizioni nel settore delle liquidazioni poste a carico dell’Erario. Un ringraziamento particolare all’Osservatorio sul patrocinio a spese dello Stato della Camera Penale per il generoso impegno, al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, in persona del suo Presidente avv. Vincenza Matacera, per la proficua collaborazione, e al Presidente del Tribunale di Catanzaro, dott. Rodolfo Palermo, per il decisivo contributo professionale e la grande sensibilità dimostrata anche in questa occasione. Il Consiglio Direttivo www.ordineavvocati.cz.it: https://lc.cx/JdmchV Consulta il documento originale https://www.camerapenalecatanzaro.it/documenti/

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IL CONFRONTO UTILE È QUELLO SCOMODO

I comunicati di ANM – nazionale e territoriale – che censurano la ruvidezza dei toni usati nel documento licenziato dal Coordinamento regionale, all’indomani dell’assoluzione dell’Avvocato Armando Veneto, meritano una attenta e seria analisi. Entriamo subito in medias res: comprendiamo la replica di ANM per il registro comunicativo scelto dall’avvocatura. Due le riflessioni. La prima, di contesto. Abbiamo sofferto a fianco di Armando Veneto per 4 lunghissimi anni, registrando quanto male egli abbia patito per una accusa infamante che è lontana anni luce dalla Sua storia personale e professionale. L’esito liberatorio – un esito che ha il merito di avere riallineato la verità processuale a quella “storica” e all’evidenza della prova – ha suscitato emozioni forti, intense, che, da un lato, sono alla base del registro del comunicativo espresso da chi si sente “figlio” di quella Scuola penalistica che vede in Armando Veneto l’indiscusso Maestro; dall’altro lato, hanno stimolato riflessioni indifferibili e urgenti sulla cifra non tollerabile di ingiustizia del sistema. Una cifra ben conosciuta dall’avvocatura, costretta a misurarsi sempre più spesso con la quota insopportabile, semmai ve ne possa essere una, di sofferenza marchiata a fuoco sulla pelle viva del cittadino esposto alla nuova fisionomia assunta dal moderno diritto penale di lotta. La seconda, di prospettiva. ANM legge nelle parole – più precisamente negli aggettivi e nelle metafore usate – un attacco a specifici (ma non precisati) magistrati ai quali esprime pertanto solidarietà. Non è così. Se così fosse, infatti, saremmo tutti sollevati dal pensiero che le distorsioni denunciate negli anni dall’avvocatura, da nord a sud, dipendano dai limiti di pochi e non, per come in effetti riteniamo, da sbilanciamenti di sistema che incrementano i rischi per tutti, non solo per i sovraesposti in ragione della categoria o del profilo di appartenenza. Emblematico, al riguardo, è anche il caso di Torre Annunziata, in cui l’intervento di un avvocato (un grande Avvocato…) davanti una platea gremita di studenti è stato bollato da quella sezione di ANM, come nocivo per la gioventù immatura. Ci sia consentito di dissentire. Vorremmo che ANM ascoltasse il grido di dolore proveniente dall’avvocatura tutta: interrogare la coscienza di chi detiene il potere e riflettere sui costi inaccettabili di un esercizio dell’autorità sbilanciato dagli accenti punitivi. Vorremmo che non venisse trascurato il merito delle posizioni critiche provenienti dal mondo in fermento dell’assise organizzata dei penalisti. Quello rimane ancora sul tappeto. Da parte nostra c’è la ferma volontà di leggere il buono del messaggio che ANM diffonde – un invito alla pacatezza – e l’auspicio che, da parte di tutti, si abbia il coraggio di fermare l’attenzione su ciò che i casi esemplari imporrebbero di inserire nell’agenda di chi è interessato al funzionamento del processo penale. Per ridurre le distanze tra noi, è sufficiente rivolgere l’attenzione sui moderni effetti prodotti dal più terribile dei poteri, e sulla piaga degli innocenti precipitati nel processo ed estratti in pezzi dopo anni di patimenti. Ha ragione ANM, serve un certo grado di dissennatezza per spingere gli avvocati a denunciare le anomalie del sistema, piuttosto che assennatamente accomodarsi al riparo di banali luoghi comuni che raccomandano di limitarsi ad esprimere soddisfazione perché giustizia è fatta. Sia consentito: assennati sì, ma non fino al punto di rinunciare ad occuparci delle dinamiche dell’accertamento giudiziario che generano inique spirali e danni incalcolabili. Perché molto assennatamente tradiremmo il senso della nostra funzione. A fine febbraio, il 27 per la precisione, le Camere Calabresi hanno trovato chiuse le porte dei Tribunali, nonostante avessero espressamente chiesto l’autorizzazione a ricordare, nelle aule di Udienza, la ricorrenza del V anniversario del suicidio di Rocco Greco, vittima di (in)giustizia. Ci è stato spiegato che parlare in pubblica udienza dell’errore giudiziario e delle sue cause deprime la fiducia dei cittadini nella Giustizia; e fuor di luogo sarebbe manifestare nei luoghi in cui si amministra giustizia dubbi sulla costituzionalità di norme che alimentano il rischio dell’errore. Ci è stato richiesto di preservare il cittadino e di ricercare piuttosto il confronto tra addetti ai lavori. Crediamo che il Tribunale debba essere (anche) il luogo in cui discutere dei “limiti” del sistema giustizia. Ad ogni modo, rinnoviamo la nostra disponibilità al confronto franco e leale con la magistratura, specie sui temi difficili. Un confronto aperto alla società civile, perché il tema della libertà impegna, per primi, i cittadini. Dobbiamo esser disposti a riflettere sulle concrete dinamiche dell’errore giudiziario e dei danni del processo, che riguarda tutti, nessuno escluso. Dobbiamo interrogarci sul ribaltamento (anche culturale) della presunzione di innocenza, sulle sue cause, sulla sua contagiosa diffusività, sulla permeabilità di un sistema inefficace quando si tratta di prevenire l’errore ovvero di riconoscerlo e porvi rimedio. Insomma, dovremmo essere pronti tutti a comprendere che il confronto utile è quello scomodo. Auspichiamo disponibilità a questo genere di confronto.   Scarica il comunicato da noi sottoscritto: IL CONFRONTO UTILE È QUELLO SCOMODO Rassegna stampa: https://shorturl.at/bcBVX https://shorturl.at/krN03

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FERMARE I SUICIDI IN CARCERE. NON C’È PIÙ TEMPO!

  La Camera Penale di Catanzaro aderisce all’astensione nazionale di giorno 20 marzo, proclamata dall’UCPI, per chiedere a Governo e Parlamento un intervento urgente per porre fine al sovraffollamento carcerario e al dramma dei suicidi in carcere. Le politiche in materia di sicurezza realizzate dallo Stato italiano negli ultimi decenni sono la causa del fenomeno cronico del sovraffollamento carcerario e delle conseguenze inumane e degradanti dello stato di detenzione, certificate persino da pronunce di condanna da parte della CEDU nei confronti della Repubblica Italiana; fra le tante si ricorda la sentenza “pilota” emessa nel procedimento tra Torreggiani + altri contro Italia, nel 2013. Sono passati oltre dieci anni da questa storica pronuncia e, nonostante l’indice di commissione dei reati sia in costante calo, la situazione all’interno degli istituti di pena non è mutata: il numero di detenuti è superiore alle 60.000 unità e, con un aumento costante di circa 400 detenuti al mese, a breve raggiungerà il livello che valse la condanna internazionale nell’anno 2013. La verità è che, a seguito di un costante quanto immotivato aumento degli edittali di pena e di una creazione spropositata di fattispecie delittuose, promulgate in esclusiva ottica di raccolta del consenso elettorale, è oggi molto più facile entrare in carcere ed è altrettanto più difficile uscirne, visto il proliferare di condizioni ostative alla concessione di misure alternative o l’uso eccessivo della leva cautelare, soprattutto alle nostre latitudini. Il risultato è uno Stato che con frequenza sistemica è obbligato a indennizzare i propri cittadini a causa degli errori giudiziari. Le cifre sono importanti, quasi mille errori giudiziari all’anno negli ultimi trenta anni. Dal 1991 al 31 dicembre 2022 i casi sono stati 30.778: in media, poco più di 961 l’anno. Il tutto per una spesa complessiva dello Stato, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri, pari a 932 milioni 937 mila euro (dati tratti da Errori giudiziari, ecco tutti i numeri aggiornati di B. Lattanzi e V. Maimone). Si ritiene che la soglia di fisiologico errore sia stata ampiamente superata. I cittadini detenuti negli istituti di pena, che per lo più appartengono alla fascia dei soggetti economicamente in stato di povertà e spesso sono di origine meridionale, con frequenza oramai drammatica decidono di togliersi la vita, piuttosto che soffrire una detenzione che si connota per un insopportabile, quanto illegittimo, surplus di afflittività. Dall’inizio dell’anno, in due mesi e mezzo, sono venticinque i soggetti in stato di detenzione che hanno deciso per il suicidio, uno ogni tre giorni. È necessario che il Governo e il Parlamento abbiano il coraggio politico di fare ricorso agli istituti di clemenza collettiva, l’amnistia e l’indulto, che sono stati costituzionalmente previsti e ampiamente utilizzati nella storia dello Stato italiano proprio per fronteggiare situazioni emergenziali, dalla monarchia alla repubblica passando per il fascismo. Altre soluzioni che possono essere immediatamente adottate e consentire l’equilibrio del sistema penitenziario sono l’introduzione della liberazione speciale anticipata, il sistema del “numero chiuso” e il ridimensionamento delle misure cautelari personali intramurarie, riconducendole così ai principi liberali del minor sacrificio possibile e della presunzione di innocenza. Queste le ragioni dell’astensione nazionale proclamata dall’UCPI per il 20 marzo, a cui la Camera Penale “Alfredo Cantàfora” di Catanzaro aderisce, affinché il tempo della pena sia un tempo utile a realizzare l’integrazione sociale del reo e non conduca più alla morte per pena. Catanzaro, 15 marzo 2024 Il Consiglio Direttivo   Rassegna stampa: https://shorturl.at/eEIMU https://shorturl.at/dmuDL  

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PER ARMANDO VENETO NEL GIORNO DELLA SUA ASSOLUZIONE

Armando Veneto, vessillo e guida dell’avvocatura calabrese e nazionale, è stato assolto dalla Corte di appello di Catanzaro. È dunque arrivato anche il riconoscimento del sistema che si era attivato per strappargli la toga e l’onore del grande avvocato. È un giorno fausto per tutti noi. E per i molti altri che non hanno mai pensato che servisse una sentenza per sapere dell’estraneità all’accusa infamante rivolta ad un uomo di impareggiabili qualità umane, intellettuali, professionali. I penalisti italiani non gli hanno mai fatto mancare il calore e la vicinanza e il sostegno durante i quattro anni di calvario trascorsi nell’attesa che la macchina infernale del processo all’innocente si inceppasse finalmente e si svelasse insulsa, indecifrabile, ciecamente violenta. Vergognosa in una parola. Ma la sentenza di oggi non cancella la condanna del processo ingiustamente inflitta, quella che non ha rimedio, che colpisce e umilia ancor più intensamente quando, come nel caso di Armando Veneto, è certo che un processo non poteva nemmeno essere iniziato. È però accaduto che un uomo degno per virtù ed opere ma scomodo per passione civile irriducibile e coraggio, abbia avuto in sorte di incrociare la miseria etica del pregiudizio, del fanatismo belligerante che ottenebra menti devastate dal cancro del sospetto. Così come infinite volte lui, campione nella contesa per il cittadino accusato, l’Avvocato Veneto ha avuto a fianco difensori valorosi e tenaci che hanno saputo misurarsi con le insidie del pre-potere capace di imbastire un processo senza prove ma con un bersaglio preciso; ed hanno saputo arginare la spinta pre- potente verso un risultato che suonasse da monito per tutti noi. A loro va nostra gratitudine. È un giorno fausto ma i nostri pugni sono serrati e la tensione non si scioglie. Non dimentichiamo, non possiamo dimenticare. Non dimenticheremo. Comunicato: Per Armando Veneto nel giorno della sua assoluzione

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GIORNATA IN RICORDO DELLE VITTIME DELL’ERRORE GIUDIZIARIO

“Io devo andare perché voi siate liberi” – Rocco Greco (m. 27.02.2019) Prevenzione dall’errore giudiziario NELLA RICORRRENZA DEL V ANNIVERSARIO DALLA MORTE DI ROCCO GRECO 27 FEBBRAIO 2019 – 27 FEBBRAIO 2024 È l’alba del 27 febbraio 2019. Rocco Greco, imprenditore di Gela, simbolo della lotta alla mafia, si toglie la vita all’interno della sua azienda, la Cosiam s.r.l., dopo aver letto l’ordinanza del Tar di Palermo con cui viene confermata una seconda interdittiva antimafia che paralizza l’impresa e, ancor più, l’Uomo. Insostenibile il peso di un sistema che, in nome dello Stato, fagocita sospette vittime compiacenti della mafia, sulla scorta di elementi la cui infondatezza è già stata conclamata dall’autorità giudiziaria con sentenza passata in giudicato. Un “artificio manifestamente infondato”, così si esprimeva la Suprema Corte già nel 2013 sulle calunniose propalazioni accusatorie mosse dagli estorsori di Rocco Greco nel tentativo di macchiarne l’integrità, per cui l’imprenditore è stato successivamente imputato e assolto dal processo penale, con formula piena, dall’accusa di concorso esterno e in seguito, sulle medesime circostanze, irrimediabilmente “condannato” dal sistema di prevenzione. Perché, con ogni evidenza, di condanna si tratta se si guarda alle drammatiche ripercussioni di tali misure sulla vita di chi ne viene travolto, oltre che sul tessuto economico-sociale in special modo delle aree più depresse del Paese. Purtroppo, a distanza di cinque anni, ci rendiamo conto di quanto la prevenzione patrimoniale continui a “far male” e coinvolga l’intero sistema giustizia. Ma non basta. Il recente caso di Beniamino Zuncheddu, vittima innocente dello Stato, condannato all’ergastolo per un terribile delitto e assolto dalla Corte d’Appello di Roma lo scorso 26 gennaio, all’esito del processo di revisione, dopo trentatré anni di privazione della libertà, ci impone di fermarci e riflettere dinanzi al tema, delicato e complesso, dell’errore giudiziario. Un caso emblematico di eccezionale gravità, tutt’altro che isolato. Basti pensare che dal 1992 al 2022 sono stati registrati in Italia, ogni anno, oltre 985 casi di innocenti catturati, incarcerati, e comunque privati della libertà, in forza di provvedimenti restrittivi successivamente obliterati da sentenze di assoluzione e seguiti da indennizzi per ingiusta detenzione per oltre 800 milioni di euro. Tale stato di cose, coinvolge significativamente anche la nostra regione, a lungo in cima alle classifiche. Questo dato, ci responsabilizza ancor di più, perché il tema dell’errore giudiziario non riguarda – e non può riguardare – solo l’Avvocatura, ma coinvolge tutto il Sistema giustizia, poiché unica è la funzione di tutela per i diritti: la Toga, espressione di democrazia e indipendenza. Attenzione da rivolgere in ogni sede, dentro e fuori i Palazzi di Giustizia, perché a tutti noi sta a cuore assicurare il giusto processo penale e il giusto procedimento di prevenzione, per ridurre le aree di rischio ed evitare gli inciampi e gli strappi che si consumano ogni qual volta si concretizza il dramma dell’errore giudiziario. Siamo ben consapevoli che senza uomini e mezzi, con riforme a costo zero e organici ridotti, non si può garantire una risposta soddisfacente alla crescente domanda di giustizia. Perché è inevitabile, proseguendo ostinatamente la corsa su questo binario cieco, che l’eccesso quantitativo degli affari da smaltire si riverberi sul dato qualitativo del risultato da offrire. Ma al tempo stesso siamo convinti che non possa avere diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento un sistema, come quello della prevenzione personale e patrimoniale, con un difetto d’origine che lo rende fonte inesauribile di errori giudiziari irrimediabili. Perché l’idea che la sommarietà dei procedimenti applicativi della pena del sospetto possa legittimarsi in virtù della rilevanza secondaria dei diritti incisi dal sistema della prevenzione e, cioè, il patrimonio ed il lavoro degli uomini, contrasta coi principi basilari che cementano il senso di comunità e che la Costituzione come tali riconosce nella sua prima parte. Ed è offensiva della memoria e delle sofferenze degli uomini che, come Rocco Greco, ne hanno patito le indiscriminate conseguenze. È il momento, allora, di tracciare il percorso comune della prevenzione dall’errore giudiziario. La memoria di tutte le vittime della giustizia – per ricordarne alcuni Enzo Tortora, Antonino Spanò, Daniele Barillà, Aldo Marongiu, Giuseppe Gulotta, Rocco Greco, Beniamino Zuncheddu – deve spingerci tutti a fermarci e a riflettere sullo stato di cose, diventando protagonisti di percorsi di cambiamento che possano migliorare la qualità della risposta che ogni giorno siamo chiamati a fornire a chi è in attesa di giustizia. Ecco perché tutte le Camere penali della Calabria avvertono l’esigenza di lanciare l’iniziativa del 27 febbraio prossimo e di sostenere la proposta dell’UCPI di indire una giornata nazionale in memoria delle vittime dell’errore giudiziario e delle misure di prevenzione. Ecco perché tutte le Camere penali della Calabria avvertono l’esigenza di lanciare l’iniziativa del 27 febbraio prossimo – di osservare alle ore 9:30, simultaneamente, in tutte le aule di udienza dei tribunali e delle corti di appello della Calabria, un minuto di silenzio, seguito dalla lettura del presente documento del Coordinamento regionale delle Camere penali della Calabria – e di sostenere la proposta dell’UCPI di indire una giornata nazionale in memoria delle vittime dell’errore giudiziario e delle misure di prevenzione.   Documento originale a cura del Coordinamento Camere Penali Calabresi Comunicato del 27.02.2024 LINK rassegna stampa: https://shorturl.at/nqzN5 https://shorturl.at/etX01

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