IL FREGIO ROSSO E BLU SULLA VITA DELLE PERSONE
di Giuseppe Guida* “L’errore giudiziario non esiste!… la giustizia è una religione dove i ricorsi, gli appelli postulano l’esistenza di una opinione laica della giustizia: e quando la religione comincia a tener conto dell’opinione laica è ben che morta!” Con queste parole Leonardo Sciascia affida a Riches, grand commis nel paese della giustizia immaginaria, la definizione di una giustizia retriva e teocraticamente discendente, che tende ad affermare sé stessa come una monade sacrale avulsa dalle umane vicende e dove le ragioni del suddito accusato del “reato peccato” sono destinate a dissolversi nella capacità catartica della giustizia delle leggi e degli uomini superiori. Certo l’intento parodistico di Sciascia era quello di descrivere una giustizia immaginaria, governata da burocrati ingessati, fidi scudieri di una legge paraclita, promanante dalla verità dei due corpi del re, indifferente alle invocazioni dell’essere: eppure, forse nemmeno lui immaginava (o forse sì) di predire la causa più profonda e veritiera dell’errore giudiziario, oggi più che mai ricorrente e forse, anzi senza forse, nemmeno poteva immaginare che qualcuno ripetesse per davvero quelle frasi di Riches come dogma divulgativo (… ricordate i colpevoli che l’hanno fatta franca?). Disconoscere l’errore giudiziario, come Riches, o, peggio ancora ridurlo ad una “eventualità” fisiologica del processo penale, avvalora una preoccupante ed antistorica visione eticizzata ed eticizzante della giustizia penale, asservita ad un approccio fideistico verso l’infallibilità dei dogmi e degli interpreti, in aperto contrasto con la dimensione evoluta del diritto e processo penale liberale. Eppure, quante volte ho sentito dichiarare pubblicamente che “l’errore giudiziario appartiene alla fisiologia del processo”, “il processo è fatto di uomini e gli uomini sbagliano” e poi “però l’errore giudiziario emerge perché c’è sempre un giudice a Berlino che lo rileva”, tutte affermazioni pretestuose ed inaccettabili che tradiscono una deleteria visione proprietaria ed autoreferenziale della giustizia che è, per l’appunto, la sottaciuta e vera causa degli errori giudiziari e delle ingiuste detenzioni! Non può essere fisiologico l’errore perché anche solo uno tradisce l’essenza stessa del processo penale dei diritti e delle garanzie, informato alla presunzione di innocenza ed orientato dal ragionevole dubbio, creando una frattura insanabile tra “effettività” e “normatività” delle norme penali, accentuando il distacco dal loro modello costituzionale. Del resto, fisiologico ed ammissibile sarebbe in un sistema autoritario o teocratico, dove la giurisdizione è esercitata ex parte principis e dove la volontà di Dio, del re o del principe si fa legge penale, ed il solo contrapporsi ad essa è delitto. Lì può essere fisiologico, perché quando la legge penale diventa sentire etico dominante, desiderata del sovrano o dogma di Dio, l’errore di condannare l’innocente è in re ipsa. In un sistema liberale, il cui cuore pulsante sono i diritti fondamentali dell’individuo consolidati nel modello costituzionale di riferimento, il cui presidio sono le regole processuali inderogabili, non vi è fisiologia che tenga! L’imputato soggiace al diritto penale della legalità, della offensività, della materialità e della soggettività senza deroghe o interpretazioni dettate da interessi prevalenti: egli è presunto non colpevole e, quando colpevole, lo è oltre ogni ragionevole dubbio! (quanto ci sarebbe da dire su questa formula che di fatto le prassi giudiziarie deviate hanno ribaltato). Nemmeno è fisiologico perché il “processo è fatto di uomini e gli uomini sbagliano”: il processo è disciplinato da regole contenute in norme, non da sensazioni, pulsioni emotive, suggestioni ideologiche o spinte etico culturali, e quindi l’uomo-giudice sbaglia ogniqualvolta si lascia sopraffare dalle seconde contravvenendo alle prime. Non mi conforta affatto poi la “favoletta” del giudice a Berlino, utilizzata come foglia di fico, perché è sconfessata dalla dinamica processuale dell’errore giudiziario e della ingiusta detenzione: l’una e l’altra sono evidenziate e proposte dall’avvocato difensore, che con la tenacia e la fede (questa sì) nel credere dell’innocenza del suo assistito promuove tutte le iniziative ed azioni che il codice di rito gli affida, il giudice, quello famoso di Berlino, non fa altro che fare il giudice, terzo, imparziale, equidistante, illuminato dalla presunzione di non colpevolezza, convinto del ragionevole dubbio e depositario del rispetto e della applicazione acritica delle regole processuali a lui consegnate per il sacrale (questo sì) esercizio della giurisdizione. Vero è che gli argomenti spesi, suscettibili di critica e di opinioni contrarie, potrebbero intendersi come il frutto ideologico di una militanza ortodossa convinta e risalente (e non nego che lo sia), destinati a scontrarsi con altra e contrapposta verità, tuttavia vi è un dato incontrovertibile, che conforta e lascia presumere che essi non siano figli di incontrollata partigianeria culturale, men che meno di una ostile e pregiudiziale avversione nei confronti di giudici e pubblici ministeri, ed è quello numerico, sul quale non ci si può non soffermare, essendo destinato a certificare che “quella occasionale fisiologia dell’uomo “giudice che può sbagliare” non è poi proprio così. Per avere un’idea di quanti siano gli errori giudiziari in Italia, mettendo insieme sia le vittime di ingiusta detenzione che quelle di errori giudiziari in senso stretto, dal 1991 al 2023 i casi di stati 31.397, in media più di 951 l’anno. Nell’anno 2023 sono stati corrisposti indennizzi dallo Stato per ingiusta detenzione euro 27,8 milioni, importo sensibilmente ridotto nel 2024, dove il totale degli indennizzi è stato di 26,9 milioni di euro (fonte relazione annuale del Ministro della Giustizia). Numeri cospicui e preoccupanti che debilitano la “fisiologia” e smentiscono “l’errore umano”. Fa il paio con questi numeri allarmanti, ai quali vanno aggiunti i silenti, ovvero quelli che hanno rinunciato per sfiducia nel sistema giustizia alla richiesta di riparazione e quelli ai quali la istanza è stata respinta, sulle cui motivazione sarebbe opportuno approfondire, il capitolo degli illeciti disciplinari (sempre fonte relazione ministeriale) avviati nei confronti dei magistrati per le accertate ingiuste detenzioni, promossi dal PG della Cassazione e dal Ministro della Giustizia. Quelle avviate dal Ministro della Giustizia si sono ridotte nel tempo, da 22 nel 2019 a 0 nel 2024, mentre quelle avviate dal PG sono rimaste numericamente costanti, 2 nel 2019 e 2 nel 2024. Le azioni complessivamente avviate dal 2017 al 2024 sono state 89, di cui 44 concluse con
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