PANPENALISMO E TENUTA DEMOCRATICA

di Orlando Sapia*–

Aumento delle fattispecie delittuose e degli edittali di pena, creazione di tecniche legislative di normazione che comportano l’anticipazione della soglia punitiva e di circuiti di esecuzione penale differenziata, sono queste alcune delle caratteristiche che si riscontrano nelle innovazioni legislative che, nel corso degli ultimi decenni, hanno riguardato il sistema penale attuale.

Chiaramente, queste scelte politiche in materia penale, nelle declinazioni sostanzialistiche, processualistiche e di esecuzione, sono la naturale conseguenza del ruolo che si è deciso politicamente di attribuire al sistema penale. Un ruolo che sempre più appare dissonante rispetto al sistema di valori cristallizzato dalla Costituzione italiana.

Un sistema penale che va in direzione opposta e contraria rispetto al paradigma garantista, il cui principio ordinatore è quello di limitare l’uso della forza, operando in due direzioni: “come sistema di limiti alla libertà selvaggia dei consociati, tramite la proibizione, l’accertamento e la punizione come reati delle offese ai diritti altrui o ad altri beni o interessi stipulati come fondamentali; e come sistema di limiti alla potestà punitiva dello Stato, tramite garanzie penali e processuali, le quali precludono la proibizione delle azioni inoffensive o incolpevoli e la punizione di quelle offensive e colpevoli senza un loro corretto accertamento”1. Il finalismo teleologico è orientato ad assicurare la migliore risposta nel bilanciamento degli interessi dei cittadini e delle vittime rispetto ai diritti dell’indagato/imputato/condannato.

L’idea di fondo è quella della riduzione della violenza, anche nella punizione del reo, poiché la pena secondo l’art. 27 Cost. ha l’obiettivo di rieducare/ riaggregare il reo nel consesso sociale, così come chiarito, dopo un tribolato percorso di pronunce, dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 313/19902

Tuttavia, negli ultimi trenta anni, l’azione legislativa ho prodotto una proliferazione  delle fattispecie di reato e l’innalzamento degli edittali di pena, in alcuni casi proprio dei minimi così sottraendo al giudice di merito la possibilità di realizzare una corretta dosimetria della pena da irrogare3.

Sarebbe troppo lungo in questa sede operare una ricostruzione degli svariati “pacchetti sicurezza” che si sono succeduti, ma è di certo possibile ripercorrere quello che è avvenuto, per lo meno, nel corso dell’attuale legislatura.

Già al suo incipit la XIX Legislatura si è caratterizzata con l’essere in perfetta continuità con le precedenti, attraverso l’introduzione, di cui non si sentiva la necessità, del reato di cui all’art. 633 bis c.p. “Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica”, la cui condotta è punita da tre a sei anni di reclusione.

Successivamente, a seguito della tragedia che ha visto la morte di decine di persone migranti lungo le coste della cittadina di Cutro nel tentativo di raggiungere clandestinamente il territorio italiano, si è avuta l’emanazione del D. L. n. 20/2023 convertito in L. n. 50/2023, c.d. decreto Cutro, che ha previsto l’inasprimento delle pene per il reato di immigrazione clandestina prevedendo  la reclusione da 2 a 6 anni (invece che da 1 a 5 anni) per l’ipotesi base e da 6 a 16 (invece che da 5 a 15 anni) per le ipotesi aggravate (comma 3 art.12 TUI), ma soprattutto l’introduzione del nuovo delitto di “Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina” (art. 12 bis Dlgs. n. 286/98), in cui se all’atto dell’ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle norme in materia di immigrazione deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persona la condotta è punita con la reclusione da venti a trenta anni, e con l’ulteriore particolarità che il nuovo delitto verrà punito secondo la legge italiana anche quando la morte o le lesioni si verificano al di fuori del territorio nazionale.

Si prosegue con il D.L. n. 123/23 c.d. Decreto Caivano che traendo origine sempre da fatti di cronaca, avvenuti per l’appunto a Caivano, rappresenta un ulteriore di esempio di atto avente forza di legge che viene emanato in via di urgenza, senza nessuna necessità, ma sull’onda delle emozioni di piazza. Tale decreto, tra le varie disposizioni, contiene delle norme che consentono un’applicazione più ampia delle misure cautelari nei confronti dei minori, universo rispetto al quale il legislatore mostra normalmente una particolare attenzione e indulgenza, in virtù del fatto che trattasi di soggetti in formazione. Fortunatamente non sono passate quelle proposte che avrebbero voluto un abbassamento dell’età ai fini dell’imputabilità, che per adesso permane a quattordici anni. Tuttavia, l’effetto è stato immediato, essendo aumentati in maniera esponenziali i minori detenuti negli IPM, proprio a causa del proliferare delle misure cautelari custodiali.

496 minori e giovani adulti detenuti nei 17 istituti penali per minorenni in Italia, al 15 gennaio 2024. Si tratta di un numero record, rende noto l’associazione Antigone nel settimo rapporto sulla giustizia minorile, evidenziando che il decreto “ha introdotto una serie di misure che stanno avendo e continueranno ad avere effetti distruttivi sul sistema della giustizia minorile, sia in termini di aumento del ricorso alla detenzione che di qualità dei percorsi di recupero per il giovane autore di delitto”4.

Infine, annunciato con il comunicato n. 59, il Consiglio dei Ministri, in data 16/11/23, ha approvato un disegno di legge sempre in materia di sicurezza, che è attualmente al vaglio delle competenti commissioni parlamentari, ma che desta preoccupazione essendo informato dalla medesima logica securitaria che ha caratterizzato i precedenti “pacchetti sicurezza”, ovverosia la creazione di fattispecie delittuose nuove e l’aumento degli edittali di pena in relazione ai reati già esistenti.

Tra le novità, risalta la norma che renderà da obbligatorio a facoltativo il differimento pena per le donne incinte e le madri con prole fino a un anno, così aprendo le porte degli istituti penitenziari ai bambini, di certo incolpevoli, al seguito delle madri. È di tutta evidenza una normativa pensata nei riguardi delle donne di etnia rom, che rappresenta un esercizio normativo ispirato al diritto penale d’autore. Il D.D.L. prevede, altresì, l’introduzione di due nuove fattispecie di reato finalizzate a mantenere la sicurezza degli istituti penitenziari e delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti, punendo gli episodi di rivolta, che possono essere integrati non solo da atti di violenza o minaccia, ma persino da condotte di resistenza passiva all’esecuzione degli ordini impartiti. 

Molto spesso nelle carceri possono aversi dei momenti di protesta, anche legittima, da parte della popolazione detenuta, ad esempio la c.d. battitura, visto le condizioni di vita spesso inumane e degradanti, come sentenziato in più occasione dalla Corte EDU, per cui introdurre questa tipologia di fattispecie è chiara espressione dell’incapacità o forse, peggio ancora, della mancanza di volontà da parte della politica di comprendere quanto stia avvenendo all’interno delle mura penitenziarie: al 31 maggio 2024 il numero dei detenuti negli istituti di pena è pari a 61574 e il tasso di sovraffollamento tocca quota 129%, con indici in alcuni istituti fino al 200%, siamo oramai ai livelli che valsero all’Italia nel 2013 la condanna dello Stato italiano dinanzi alla Corte EDU nel procedimento Torregiani + altri contro Italia. Il carcere continua ad essere una pattumiera sociale, in cui collocare i soggetti marginali/ scarti sociali, difatti i detenuti negli istituti di pena appartengono soprattutto alla fascia dei soggetti economicamente in stato di povertà e spesso di origine meridionale o migranti.
Secondo l’ultimo rapporto Istat sono 5,6 milioni le persone in condizioni di povertà assoluta in Italia, pari a 9,7% della popolazione5. La risposta statale rispetto a questo crescente fenomeno di impoverimento si realizza attraverso l’implementazione del sistema penale, che si inasprisce sempre più in tutte le sue declinazioni: i reati aumentano e così le pene, i processi devono essere più veloci e diminuiscono le garanzie, le carceri sono stracolme e il tasso di sovraffollamento, nonostante i tentativi periodici di diminuire la popolazione detenuta, continua a crescere, e con esso il numero dei detenuti che hanno deciso di togliersi la vita. Dall’inizio dell’anno si sono registrati 44 suicidi tra la popolazione detenuta, cifra record6.

La risposta dello Stato a questi nuovi poveri, emarginati e espulsi dal ciclo produttivo o che giungono sulle barche della disperazione sulle nostre coste, in fuga da fame, guerra e regimi violenti ed irrispettosi dei diritti umani, al netto di qualche provvedimento ottriato di volta in volta così da calmierare gli animi, è il diritto penale, probabilmente perché, tra gli altri vantaggi, è anche a costo zero, almeno nell’immediato.“Ecco allora la trasformazione da Stato sociale a Stato penale, che ha tra i suoi obiettivi primari proprio la criminalizzazione degli scarti della società. In sintesi, lo Stato ha rinunciato alle sue funzioni sociali ed economiche, e ha scelto la politica della sicurezza come fulcro di una strategia mirante a recuperare l’autorità perduta e l’impronta protettiva agli occhi dei cittadini”7.  È tramontato il progetto democratico, cristallizzato nell’art. 3 co. 2 della Cost., ovverossia il perseguimento dell’uguaglianza sostanziale, e stiamo, forse, assistendo all’alba di un nuovo Stato tecnocratico punitivo.

*Segretario della Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora”

(Già pubblicato su Ante Litteram n. 2 – settembre 2024)

 

1 –  L. Ferrajoli, Il paradigma garantista. Filosofia e critica del diritto penale, pag. 17 e seguenti, Editoriale Scientifica, 2014.
2- Per una sintesi di questi principi cfr. L. PEPINO, Giustizia: nessuna riforma senza una grammatica condivisa, in “sistemapenale.it”, 15 settembre 2023, e R. Polidoro e C. Cavaliere, Dare un senso alla pena che un senso non ce l’ha, in O. Sapia e A. Scerbo, Temi, problemi e prospettive del sistema penale, ESI, Napoli 2022, p. 319.
3- E. Pazè, Giustizia, roba da ricchi, Editori Laterza, 2017; V. Manes, Diritto penale no-limits. Garanzie e diritti fondamentali come presidio per la giurisdizione, in Questione Giustizia, 2019, n. 1, p. 87; C. Petitto e O. Sapia, La pena Tradita, il sistema penale tra ossessione securitaria e carcerazione della povertà, Rubbettino Editore, 2017.
4- Rapporto di Antigone sulla giustizia minorile e gli Istituti penali per minorenni, 2024.
5- Le statistiche dell’Istat sulla povertà, anno 2022, https://www.istat.it/it/files/2023/10/REPORT-POVERTA-2022.pdf,
6- Cifra aggiornata al 19/06/24.
7- Sergio Moccia, Vite di scarto, in Diritto e Giustizia Minorile, Rivista Trimestrale, 2/3 2014.

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