SISTEMA PENALE E  NUOVE “ENCLOSURES”


di Orlando Sapia*

«La legge, nella sua solenne equità, proibisce così al ricco come al povero
di dormire sotto i ponti, di elemosinare nelle strade e di rubare pane»
(Anatole France, Il giglio rosso, 1894)

È invalso da almeno tre decenni un uso massiccio del sistema penale nel governo della società: aumento spropositato delle fattispecie delittuose e degli edittali di pena, creazione di tecniche legislative di normazione che comportano l’anticipazione della soglia punitiva e di circuiti di esecuzione penale differenziata, sono queste alcune delle caratteristiche che è possibile riscontrare. Un sistema che teoricamente dovrebbe garantire giustizia nel rispetto dei diritti dei cittadini, ma con frequenza nega la giustizia, a causa della lungaggine dei processi causata da un fenomeno di overload del contenzioso, e, a volte, per una perversa eterogenesi dei fini, realizza degli orrori giudiziari.[1]

Un sistema penale che diviene sempre più pervasivo, tentando di controllare, mediante la previsione di una miriade di fattispecie di reato, ogni aspetto del vivere sociale, un “diritto penale totale”.[2]

Ciò è l’opposto del garantismo penale, il cui principio fondamentale è quello di limitare l’uso del potere coercitivo/punitivo da parte dello Stato (indagini, misure cautelari, processo, esecuzione penale), così da intenderlo quale extrema ratio.

In Costituzione sono fissati i principi cardine di un sistema penale finalizzato a garantire i diritti dell’uomo indagato, imputato e, eventualmente, condannato. L’idea di fondo è quella della riduzione della violenza, anche nella punizione del reo, poiché l’obiettivo finale è riaggregarlo nella società, come disposto chiaramente dall’art. 27 Cost. e successivamente chiarito, dopo un tribolato percorso di pronunce, dalla Corte Costituzionale con la Sentenza n. 313/1990[3]

Nella storia repubblicana questo sistema di valori ha conosciuto una realizzazione tardiva, laddove le riforme sono intervenute, e per altri aspetti assente, poiché riforme non vi sono state. Basti pensare che la riforma dell’ordinamento penitenziario avviene nel 1975, con la L. n. 354; il nuovo codice di procedura penale è varato nel 1989, mentre il diritto sostanziale è tutt’ora regolamentato dal codice del 1930.

Il legislatore, tuttavia, a partire dagli anni novanta del secolo passato ha realizzato una legislazione fortemente repressiva, improntata alla logica dell’eccezione, nella quale lo spazio delle garanzie legislative ha subito con sistematicità una costante riduzione[4]. Esemplare, in tal senso, è l’introduzione del regime dell’ostatività, ex art.  4 bis L. n. 354/1975, che laddove riguardi il condannato alla pena dell’ergastolo comporta l’ostatività alla concessione della sospensione condizionale, elidendo così le possibilità di concreta riducibilità della pena perpetua.

Più in generale, sotto il profilo del diritto sostanziale, si assiste al proliferare delle fattispecie di reato e all’innalzamento degli edittali di pena, in alcuni casi proprio dei minimi, così sottraendo al giudice di merito la possibilità di realizzare una corretta dosimetria della pena da irrogare.[5]

Sarebbe troppo lungo in questa sede operare una ricostruzione degli svariati pacchetti sicurezza che si sono succeduti negli ultimi tre decenni, ma è di certo utile ripercorrere quello che è avvenuto per lo meno nell’ultima legislatura.

Uno dei primi atti dell’attuale esecutivo, che si muove in perfetta continuità con i precedenti governi almeno per quanto concerne l’uso della penalità, è stato il c.d. decreto contro i rave party, n. 162/2022 poi convertito nella legge n. 199/2022,  che ha introdotto il reato di cui all’art. 633 bis c.p. “Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica”, la cui condotta è punita da tre a sei anni di reclusione; normativa finalizzata a punire chiunque promuova o organizzi invasione di terreni o edifici allo scopo di realizzare raduni musicali che possano nuocere alla salute pubblica a causa del consumo di droghe oppure per violazione della normativa in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli  e  delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento. È evidente che si tratti di una norma del tutto superflua poiché le condotte, ora riconducibili nel 633 bis, erano già sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 633 c.p. invasioni di terreni o edifici. Si è dinanzi alla volontà di ricondurre nella sfera di rilevanza penale la condotta organizzativa dell’incontro musicale, di per sé neutra, poiché connessa alla pratica delle occupazioni temporanee piuttosto che al consumo di droghe. 

Successivamente, a seguito della tragedia che ha visto la morte di decine di persone migranti lungo le coste della cittadina di Cutro nel tentativo di raggiungere clandestinamente il territorio italiano, si è avuta l’emanazione del D. L. n. 20/2023 convertito in L. n. 50/2023, c.d. decreto Cutro, che ha previsto l’inasprimento delle pene per il reato di immigrazione clandestina prevedendo  la reclusione da 2 a 6 anni (invece che da 1 a 5 anni) per l’ipotesi base e da 6 a 16 (invece che da 5 a 15 anni) per le ipotesi aggravate (comma 3 art.12 TUI), ma soprattutto l’introduzione del nuovo delitto di “Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina” (art. 12 bis Dlgs. n. 286/98), in cui se nell’atto dell’ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle norme in materia di immigrazione deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persona la condotta è punita con la reclusione da venti a trenta anni, e con l’ulteriore particolarità che il nuovo delitto verrà punito secondo la legge italiana anche quando la morte o le lesioni si verificano al di fuori del territorio nazionale.

Il D.L. n. 123/23 c.d. decreto Caivano che traendo origine sempre da fatti di cronaca, avvenuti per l’appunto a Caivano, rappresenta un ulteriore di esempio di atto avente forza di legge che viene emanato in via di urgenza, e senza nessuna necessità, sull’onda delle emozioni di piazza per parlare alla pancia del paese. Tale decreto, tra le varie disposizioni, contiene delle norme che consentono un’applicazione più ampia delle misure cautelari nei confronti dei minori, universo rispetto al quale il legislatore mostra normalmente una particolare attenzione e indulgenza, in virtù del fatto che trattasi di soggetti in formazione. Fortunatamente non sono passate quelle proposte che avrebbero voluto un abbassamento dell’età ai fini dell’imputabilità, che per adesso permane a quattordici anni.

Gli effetti del decreto Caivano non si sono fatti attendere: oggi anche gli istituti penitenziari  per minori conoscono il fenomeno del sovraffollamento carcerario.[6]

Infine, è di recentissima approvazione l’ennesimo “pacchetto sicurezza” emanato nelle forme del decreto legge, n. 48/25, sebbene ex art. 77 la Costituzione stabilisca che il decreto legge possa essere adottato solo in casi straordinari di necessità ed urgenza, tuttavia appare chiaro proprio nel prologo del provvedimento avente forza di legge che tali casi siano affermati in maniera del tutto apodittica, essendo, peraltro, il testo del decreto quasi identico al testo del disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri, in data 16/11/23, e che per quasi due anni è stato posto al vaglio del Parlamento. In sostanza, il governo ha privato l’assemblea parlamentare delle proprie prerogative, invadendo il demanio del potere legislativo, che purtroppo ha chinato, per l’ennesima volta, supinamente la testa in fase di conversione.

La logica è la medesima dei precedenti pacchetti sicurezza, ovverosia la creazione di fattispecie delittuose nuove e l’aumento degli edittali di pena in relazione ai reati già esistenti, oltre che l’ampliamento del circuito dell’ostatività, ma esiste un dato di novità: si è dinanzi ad un intervento legislativo che non risponde a specifiche spinte emotive della “piazza”, come era nei casi sopra richiamati dei decreti Cutro e Caivano, che non risponde ad alcuna necessità concreta ed è, pertanto adottato, in via preventiva.[7]

Sono state introdotte nuove aggravanti di pena nei reati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale (artt. 336 e 337 c.p.), laddove il pubblico ufficiale sia un componente delle forze dell’ordine.

Sono inserite nuove aggravanti all’art. 61 del c.p., tra le quali spicca la lettera 11-decies) , ovverosia “l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità pubblica e individuale, contro la libertà personale e contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio commesso il fatto all’interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all’interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri” .

Inoltre sempre all’art. 635, è stato aggiunto un ulteriore inciso al terzo comma così da prevedere un ulteriore aggravamento di pena in caso di danneggiamento realizzato in occasione di manifestazioni.

È stato modificato l’art. 1 bis del Dlgs n. 48 del 1966 riportando nel penale la condotta di blocco stradale e allargandolo, inoltre, al blocco ferroviario, prevedendo una pena fino a due anni in caso  di condotta realizzata da più persone riunite.

È stata introdotta l’autonoma fattispecie, art. 583 bis c.p., di “Lesioni personali a un ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza nell’atto o a causa dell’adempimento delle  funzioni” che riguarda anche il personale esercente le professioni sanitarie” e prevede pene altissime, arrivando in caso di lesioni ad un massimo edittale di sedici anni. E’ stato introdotto l’art. 634-bis (Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui) con una pena che nel massimo può arrivare a sette anni.

È stato ulteriormente inasprito il delitto di “impiego di minori nell’accattonaggio”, art. 600 octies c.p., allargandone lo spettro applicativo poiché il riferimento è ora ai minori fino a sedici anni anziché fino a quattordici, è aumentando considerevolmente le pene.

È stato introdotto il nuovo reato di cui all’art. 415-bis c.p. rubricato “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”, in cui si criminalizzano persino forme di resistenza passiva e si prevede la comminatoria di pene elevatissime, che arrivano nel massimo, in presenza delle circostanze aggravanti elencate nell’articolo, sino ad anni venti di reclusione. Peraltro, il legislatore in questo “pacchetto sicurezza” ha disposto l’inserimento sia del delitto di cui all’art. 415 bis c.p. che del delitto di istigazione alla disobbedienza alle leggi dello Stato ex art. 415 c.p., nel catalogo di cui all’art. 4 bis della L. n. 354/75, così divenendo tali reati ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione e ai benefici penitenziari in generale, salvo la concessione della liberazione anticipata.

Speculare al reato di rivolta all’interno delle mura carcerarie è il reato di rivolta all’interno delle strutture adibite al trattenimento dei migranti, introdotto all’art. 14 del T.U. immigrazione Dlgs n. 286/1998.

Infine, è stata approvata la norma che, modificando gli artt. 146  e 147 c.p., renderà da obbligatorio a facoltativo il differimento pena per le donne incinta e le madri con prole fino a un anno, così aprendo le porte degli istituti penitenziari ai bambini, di certo incolpevoli, al seguito delle madri. Trattasi di una normativa che è stata pensata con particolare riguardo alle donne di etnia rom, così rispolverando vecchie logiche parrebbe ispirate al diritto penale d’autore.

Questa breve e parziale panoramica dell’ultimo atto emanato dall’esecutivo, in chiave prettamente securitaria, è sintomatica di un fenomeno normativo denominato “diritto penale massimo”, chiaramente finalizzato ad espandere il potere punitivo in materia penale ed allargare considerevolmente la platea di coloro i quali sono coinvolti nel circuito penale.[8]

È evidente, nel caso dell’ultimo “pacchetto sicurezza”, che gli innesti normativi siano rivolti nei riguardi delle fasce più deboli della popolazione, spesso escluse dai cicli produttivi e costrette a vivere in condizioni di marginalità. E’ altresì chiara l’intenzione di comprimere forme di dissenso pubblico che spesso possono concretizzarsi anche in forme di disobbedienza civile. In fondo, l’avere introdotto l’art. 415 bis c.p. e la speculare norma nel T.U. immigrazione, art. 14, unitamente ad una serie di aggravanti e nuovi reati a tutela delle forze dell’ordine è un palese dispiegamento di una “strategia securitaria” pensata per contrastare attuali e prossimi fenomeni di protesta sociale e disobbedienza civile che possono aversi nelle piazze delle città oppure all’interno dei luoghi di detenzione o trattenimento di migranti. Si tratta di innesti assolutamente ridondanti dal momento che la normativa previgente era già ampiamente in grado di far fronte ad eventuali azioni che, oltrepassando i confini del legittimo dissenso, realizzassero condotte di rilevanza penale. Il caso emblematico sono i reati di rivolta in istituto penitenziario e in centro di trattenimento per migranti: sono questi i luoghi in cui i diritti dell’uomo sono violati in maniera quotidiana, tant’è che proprie nelle carceri italiane vi è stato un tragico fenomeno suicidiario, in qualche misura riconducibile alle deplorevoli condizioni di vita a cui sono costretti i reclusi. Ebbene, attualmente, alla luce della nuova normativa una protesta dei detenuti contro le condizioni degradanti di vita, anche nelle forme della resistenza passiva, potrebbe integrare la fattispecie di reato di nuovo conio.

In un contesto sociale fatto di povertà crescente e welfare state che diviene sempre più minimo la “strategia securitaria”, che oggi appare in tutta la propria vis, rappresenta l’arsenale di strumenti prioritario per la gestione del mai sopito conflitto sociale. La risposta dello Stato a questi nuovi poveri, emarginati e espulsi dal ciclo produttivo o che giungono sulle barche della disperazione sulle nostre coste, in fuga da fame, guerra e regime violenti irrispettosi dei diritti umani, al netto di qualche provvedimento ottriato di volta in volta così da calmierare gli animi, è il diritto penale, probabilmente perché, tra gli altri vantaggi, è anche a costo zero, almeno nell’immediato.

Si è dinanzi a nuove enclosures; la dinamica fa tornare alla mente ciò che accade a partire dal XV in Inghilterra e poi diffusosi nel corso dei secoli successivi nel resto d’Europa. La recinzione delle terre comuni comportò l’abolizione dei diritti consuetudinari di cui godevano gli abitati dei villaggi rurali, quali pascolo, spigolatura, legnatico e produsse la creazione di masse di mendichi, vagabondi, banditi, in sostanza di poveri[9]. Quasi contemporaneamente all’abolizione di quella primordiale forma di stato sociale si sviluppò, come naturale contrappasso, un sistema punitivo feroce che fece delle pene corporali e dello splendore dei supplizi il principale strumento di governo interno.[10]

Con le debite proporzioni, il ricorso costante e sistematico che si è fatto del sistema penale, in vero nell’intera area occidentale, richiama la dinamica prima descritta[11]. In fondo, il liberismo assunto quale logos delle politiche economiche e finanziarie, ha condotto alla realizzazione di nuove recinzioni riguardanti le contemporanee “terre comuni”, cioè i diritti sociali.[12]

Le nuove recinzioni hanno prodotto un aumento dei poveri, in Italia il dato è in continua crescita, nel 2023 sono 5,7 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta, pari a 9,7 % della popolazione, secondo l’ultimo rapporto Istat[13]. La risposta statale diviene il sistema penale che si inasprisce sempre più in tutte le sue declinazioni: i reati aumentano e così le pene, i processi devono essere più veloci e diminuiscono le garanzie, le carceri sono stracolme e il tasso di sovraffollamento, nonostante i tentativi periodici di diminuire la popolazione detenuta, continua a crescere, e con esso il numero dei detenuti che hanno deciso di togliersi la vita, la media nel 2024 è di un detenuto suicida ogni quattro giorni.[14]

“Ecco allora la trasformazione da Stato sociale a Stato penale, che ha tra i suoi obiettivi primari proprio la criminalizzazione degli scarti della società. In sintesi, lo Stato ha rinunciato alle sue funzioni sociali ed economiche, e ha scelto la politica della sicurezza come fulcro di una strategia mirante a recuperare l’autorità perduta e l’impronta protettiva agli occhi dei cittadini”. [15]

*Segretario della Camera Penale “Alfredo Cantàfora” di Catanzaro.

 

[1]Errori giudiziari, ecco tutti i numeri aggiornati di B. Lattanzi e V. Maimone, https://www.errorigiudiziari.com/errori-giudiziari-quanti-sono/, 21 maggio 2023. Sul punto nell’articolo si precisa che “dal 1991 al 31 dicembre 2022 i casi sono stati 30.778: in media, poco più di 961 l’anno. Il tutto per una spesa complessiva dello Stato gigantesca, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri: 932 milioni 937 mila euro e spiccioli, per una media di poco inferiore ai 29 milioni e 200 mila euro l’anno.”
[2] F.Sgubbi, Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa, Il Mulino, 2019.
[3] Per una sintesi di questi principi cfr. L. Pepino, Giustizia: nessuna riforma senza una grammatica condivisa, in “sistemapenale.it”, 15 settembre 2023, e R. Polidoro e C. Cavaliere, Dare un senso alla pena che un senso non ce l’ha, in O. Sapia e A. Scerbo, Temi, problemi e prospettive del sistema penale, ESI, Napoli 2022, p. 319.
[4] G. Insolera, Per un diritto liberale liberale, in O. Sapia e A. Scerbo, Temi, problemi e prospettive del sistema penale, ESI, Napoli 2022, p. 142
[5] E. Pazè, Giustizia, roba da ricchi, Editori Laterza, 2017; V. Manes, Diritto penale no-limits. Garanzie e diritti fondamentali come presidio per la giurisdizione, in Questione Giustizia, 2019, n. 1, p. 87; C. Petitto e O. Sapia, La pena Tradita, il sistema penale tra ossessione securitaria e carcerazione della povertà, Rubbettino Editore, 2017.
[6] Ilaria Beretta, Il fenomeno. Sovraffollate e senza educatori: «Le carceri minorili sono allo sfascio», in L’Avvenire, 25 maggio 2025, https://www.avvenire.it/attualita/pagine/sovraffollati-e-senza-educatori-carceri-minorili-allo-sfascio.
[7]Francesco Petrelli, Il panpenalismo preventivo rischia di travolgere i principi del diritto penale liberale e alimenta la “colpa d’autore”, Il Dubbio 17 settembre 2024.
[8] L. Ferrajoli, Cos’è il garantismo in Criminalia, 2014 pag. 135; L. Ferrajoli, Il paradigma garantista. Filosofia e critica del diritto penale, pag. 237, Editoriale Scientifica, 2016; N. Mazzacuva, La clemenza collettiva nell’epoca del ‘diritto penale massimo’ in Diritto penale contemporaneo n. 4/2018 pag. 194.
[9] K. Marx, Il Capitale, Roma 1996, L. I capitolo XXIV pp. 528-529.
[10] G. Rusche, O. Kirchheimer, Pena e struttura sociale, Il Mulino, 1978, cap. II p. 58; M. Focault, Sorvegliare e punire, Einaudi, 1976.
[11] E. Grande, Politiche del diritto, povertà e prigioni negli Stati Uniti d’America oggi, in Iperstoria, 2019; sempre di E. Grande, Se la pena possa contribuire a realizzare l’eguaglianza sostanziale…, in Studi e materiali di diritto penale, anno IV, n. 3, pag. 41, Bonomia University Press, 2011.
[12] F. Raparelli, Rivolta o Barbarie, la democrazia del 99 per cento contro i signori della moneta, Ponte alle Grazie, 2012, p. 73. Sempre sul punto L. Waquant, Punire i poveri, il nuovo governo dell’insicurezza sociale, DeriveApprodi, 2006, e L. Waquant, Iperincarcerazione. Neoliberismo e criminalizzazione della povertà negli Stati Uniti, Ombre Corte, 2013.
[13] Le statistiche dell’Istat sulla povertà, anno 2022, https://www.istat.it/it/files/2024/10/REPORT-POVERTA-2023.pdf
[14] Report di Antigone anno 2024.
[15] Sergio Moccia, Vite di scarto, in Diritto e Giustizia Minorile, Rivista Trimestrale, 2/3 2014.

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