QUESTIONI ATTUALI IN MATERIA DI STALKING, OMICIDIO E FEMMINICIDIO

di Stella Feroleto* – 

I DELITTI CONTRO LA PERSONA NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLO STALKING, ALL’OMICIDIO VOLONTARIO COMMESSO DALL’AUTORE DI ATTI PERSECUTORI NEI CONFRONTI DELLA STESSA PERSONA OFFESA E AL REATO DI FEMMINICIDIO.

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive in tema di delitti contro la persona. 2. Omicidio volontario commesso dall’autore degli atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa. 3. La “ratio” delle aggravanti tipiche in materia di stalking nell’era della digitalizzazione. 4. La costituzione di parte civile per il risarcimento del danno non patrimoniale. 5. Riflessioni critiche sui delitti alla persona di stalking e di femminicidio: tra esigenze di tutela della persona offesa e garanzie dell’imputato.

1.CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE IN TEMA DI DELITTI CONTRO LA PERSONA
Il legislatore del 1930, dopo aver dedicato particolare attenzione, nei primi titoli e capi del codice penale, ai delitti contro lo Stato e l’ordine pubblico, sul presupposto storico ed ideologico, probabilmente, che uno Stato forte sarà in grado di garantire la sicurezza dei suoi cittadini, nella seconda parte del Codice Rocco, precisamente al titolo XII, Capo I, guarda con occhio prospettico privilegiato ai cosiddetti delitti contro la persona.

Ed invero, in ottica storica e sistematica, maggiore rilievo assume sempre più la persona alla luce delle norme contenute nella Costituzione Repubblicana del 1948, i cui principi fondamentali ( di solidarietà sociale, di eguaglianza, di non discriminazione etc…) sono il frutto di un compromesso storico tra le maggiori forze politiche e sociali dell’epoca che, nella prospettiva di convergenza d’interessi e d’intenti verso il bene comune, hanno dato vita a quella che da molti giuristi e sociologi è stata definita “la Costituzione più bella del mondo”.

In guisa evolutiva, è da evidenziarsi come, nel tempo, la concezione antropocentrica del nostro assetto sistemico è stata considerevolmente rafforzata dalla nascita, in luogo della CEE, dell’ Unione Europea, a cui fanno capo, in ottica sempre più monistica tra gli stati aderenti, la normativa originaria dei Trattati, quella derivata dei Regolamenti, delle direttive e delle decisioni, ma anche alcune Carte di fondamentale importanza quali: la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ( la quale, in verità, nonostante i tentativi di “comunitarizzazione” operati in occasione del Trattato di Lisbona, non ha ancora assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati) e la Carta di Nizza ( che, invece, ha assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati ), ma anche la Convenzione sui diritti del fanciullo, la Convenzione di Oviedo contro ogni forma di discriminazione, nonché la CEDAW, ossia la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.

E invero, a seguito di una copiosa giurisprudenza che nel tempo ha visto dialogare – ed a volte scontrarsi – la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia Europea (massimo organo giurisdizionale dell’Unione) riguardo ai rapporti tra la normativa nazionale e quella comunitaria, con l’importante sentenza Granital[1], è stata elaborata la cosiddetta teoria dei controlimiti, in base alla quale la normativa europea può prevalere rispetto alla normativa italiana e nel momento in cui una normativa nazionale dovesse porsi in contrasto con, ad esempio, una disposizione di un trattato europeo, il giudice a quo, senza procedere previamente alla dichiarazione di incostituzionalità – a differenza di quanto avviene ancor oggi in relazione alla normativa della CEDU per il tramite dell’interposto articolo 117 della Costituzione – ed esauriti i tentativi di interpretazione sistematica e conforme, potrà disapplicazione direttamente la disposizione nazionale contrastante con il limite, tuttavia, invalicabile dei cosiddetti controlimiti; la normativa europea, infatti, non potrà mai porsi in contrasto con i primi quindici articoli della Costituzione italiana che rappresentano il nucleo duro del nostro ordinamento democratico involvente la tutela dei diritti fondamentali della persona che non possono essere scalfiti neppure soltanto sul piano formale; oltre che sostanziale.

In tale prospettiva, è da rilevarsi come, d’altronde, nel sinallagma sovranazionale la tutela dei diritti della persona abbia assunto pregnante rilievo altresì alla luce della elaborazione della più recente teoria della doppia pregiudiziale, in base alla quale, allorquando un diritto della persona venga leso sia da una normativa nazionale che europea si potrà apprestare una duplice tutela, sia davanti alla Corte Costituzionale che dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’UE; tuttavia, la Corte Costituzionale, che all’interno del nostro assetto sistemico rappresenta il giudice della legge, nel ribadire l’importanza del suo ruolo, ha messo in evidenza come, pur restando certamente ferma la possibilità di tutela dei diritti della persona davanti alla Corte di Giustizia, sarebbe più opportuno rivolgersi previamente alla Corte Costituzionale per invocare la tutela dei diritti in quanto essa rimane l’organo ontologicamente deputato alla garanzia della Costituzione e dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino.

Tale posizione della Consulta viene, inoltre, avallata dal fatto che la differenza di tutela dinanzi al giudice delle leggi italiano è senz’altro rafforzata poiché la Corte, nel dichiarare la illegittimità costituzionale di una legge, la espunge in maniera tendenzialmente definitiva dall’ordinamento ed erga omnes. Quella, invece,  dinanzi alla Corte di Giustizia è una tutela del caso concreto che non consente di depurare definitivamente una normativa dall’ordinamento, col rischio inevitabile che la questione possa riproporsi pro futuro.

In guisa sistematica appare, pertanto, evidente che, nell’attuale momento storico, l’attenzione alla tutela dei diritti della persona è particolarmente alta sia a livello sovranazionale che nazionale e ciò determina, inevitabilmente, delle ripercussioni su quello che è il diritto penale sostanziale e processuale che costituiscono, senza dubbio, gli ambiti all’interno dei quali, da una parte, si richiede una particolare sensibilità del legislatore nazionale alla spinta evolutiva del sentire sociale di riferimento; d’altra parte, essendo,  oggigiorno, molte norme frutto di una spinta emotiva dell’allarme sociale dell’opinione pubblica a cui la politica è chiamata ontologicamente a piegarsi, gli interventi legislativi in materia penale finiscono per diventare terreno di scontro tra impostazioni esegetiche a volte opposte ma forse,  per certi, versi sicuramente conciliabili. 

Ne è attuale testimonianza proprio la recentissima previsione del delitto di femminicidio ad opera del disegno di legge dell’8 Marzo del 2025 che introduce all’interno del codice penale l’art. 577 bis il quale punisce chiunque (quindi sia un uomo che una donna) cagioni la morte di una donna per motivi di discriminazione od odio verso appunto la donna in quanto tale con la pena dell’ergastolo.

Prima di soffermarsi in modo più specifico sulla normativa in esame appare, tuttavia, doveroso considerare in maniera più approfondita il già vigente reato di atti persecutori, rispetto al quale, in verità,  la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione si è soffermata in maniera analitica.

 

2.OMICIDIO VOLONTARIO COMMESSO DALL’AUTORE DI ATTI PERSECUTORI NEI CONFRONTI DELLA STESSA PERSONA OFFESA
In guisa evolutiva, è da rilevarsi come i reati di stalking[2] e di omicidio, nonché l’aggravante dell’ergastolo, sono stati nel tempo già oggetto di attenzione da parte del legislatore – attraverso la previsione degli artt. 575, 612 bis e 576 comma 5.1 c.p. – ma anche da parte della giurisprudenza di legittimità in tempi più recenti con l’importantissima pronuncia a S.U. n. 38402 del 2021, tanto da far riflettere una parte di interpreti sul fatto che, forse, il sistema penale era già al completo senza necessità di ulteriori “frammentazioni”.

Prima di soffermarsi, però, in maniera più capillare sui reati che vengono in rilievo, occorre prendere in considerazione, per completezza espositiva, quale sia il ruolo del reato complesso all’interno del nostro impianto ordinamentale. [3]

Per vero, il reato complesso si ha allorquando taluni fatti costituenti di per sé reato si pongano come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato.

La disciplina normativa inerente al reato complesso si ricava dall’art. 84 del codice penale il quale, al primo comma, sancisce il fatto che, appunto, “le disposizioni degli articoli precedenti non si applicano quando la legge considera come elementi costitutivi o come circostanze aggravanti di un solo reato fatti che costituirebbero per sé stessi reato“. [4]

In tale prospettiva, occorre innanzitutto muovere dalla considerazione che, con riferimento a tale fattispecie, già dalla collocazione sistematica, si evince che il legislatore, nel prevedere una norma ad hoc, posta immediatamente dopo le norme concernenti il concorso di reati, ha voluto evidenziare come, nel caso in cui ci si trovi dinanzi ad un reato complesso – semplice o circostanziato – il trattamento nei confronti dell’autore del fatto tipico risulterà diverso, e sarà diversamente quantificata la pena, rispetto a quanto previsto in base alla disciplina del concorso di reati. [5]

Nel concorso di reati, infatti, a seconda che il concorso sia formale o reale, sarà irrogato un trattamento sanzionatorio differenziato.

Nel caso di concorso materiale, l’autore del reato sarà punito più severamente, con un trattamento sanzionatorio dato dalla sommatoria delle pene previste per i singoli reati; nel caso, invece, di concorso formale, come si evince dall’articolo 81 c.p., si punisce con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata fino al triplo, chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge, ovvero commette più violazione della medesima disposizione di legge.

Un trattamento sanzionatorio ossequioso del generale principio del favor rei è, invece, previsto in caso di reato continuato, ai sensi dell’art  81 comma 2 c.p., il quale sancisce che chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge è punito con la pena prevista dal primo comma in tema di concorso formale.

L’art. 84 c.p., invece, nello stabilire che le disposizioni inerenti al concorso di reati non si applicano al reato complesso è sintomatico della volontà del legislatore, probabilmente, di sottoporre ad un trattamento sanzionatorio diverso da quello sin qui esposto – che spesso, ed a seconda dei casi può essere più o meno deteriore – il soggetto a cui si contesta il reato.

In prospettiva sistematica, è da rilevarsi, poi, che, all’interno del nostro ordinamento giuridico, si effettua una importante differenziazione tra quello che è il reato necessariamente complesso e quello che è il reato eventualmente complesso.

Secondo una parte di dottrina e di giurisprudenza nell’art. 84 c.p. troverebbe fondamento soltanto il reato necessariamente complesso, ossia quel reato in cui sicuramente taluni fatti, che di per sé costituirebbero reato, si pongono come elementi costitutivi o come circostanze aggravanti di un determinato reato.[6]

Secondo questo orientamento, infatti, il reato eventualmente complesso non potrebbe trovare cittadinanza nel nostro assetto sistemico in quanto entrerebbe in frizione coi principi cardini di legalità, tassatività e sufficiente determinatezza, di fondamentale rilievo in materia penale.

Secondo altra corrente di pensiero, avallata fra l’altro da autorevole dottrina, ritenere che nell’art. 84 c.p. trovi fondamento soltanto il reato necessariamente complesso significherebbe svuotare di contenuto la portata applicativa dell’art. 84 e si finirebbe per considerare tale norma come una mera riproposizione del principio di specialità e, secondo alcuni, di quello del ne bis in idem sostanziale; dunque, secondo tale impostazione, nell’art. 84 troverebbe fondamento, non solo il reato necessariamente complesso, ma anche il reato eventualmente complesso, ossia quel reato in cui taluni fatti possono porsi – ma anche non porsi – come elementi costitutivi o circostanze aggravanti di un determinato reato, in base ad una prognosi da effettuarsi ex post, ossia dopo la commissione del reato, e non ex ante.

Del resto, di reato eventualmente complesso, in particolare, si discute con riferimento a talune fattispecie tipiche a base violenta che possono sfociare, ad esempio, in danneggiamento alle cose o di lesioni personali.

Ed invero, di recente, la questione inerente alla rilevanza del reato complesso si è posta all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione – la quale si è espressa a S.U. – con riferimento al reato di omicidio volontario commesso dall’autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona soggetto passivo del reato.

In tal guisa, è da evidenziarsi, innanzitutto, che i reati di omicidio volontario e di atti persecutori trovano la loro disciplina normativa, rispettivamente, all’art. 575 c.p. ed all’art. 612 bis c.p..[7]

Il reato di omicidio volontario punisce, in particolare, con la reclusione non inferiore ad anni ventuno, chi cagiona la morte di un uomo. Si tratta di un delitto doloso (punito espressamente in verità anche nella forma colposa) contro la persona e di evento. Il reato di atti persecutori – ossia il cosiddetto stalking [8]– invece, è anch’esso un delitto contro la persona e, secondo l’orientamento prevalente, si tratta di un reato eventualmente abituale. [9]

Per l’effetto, il caso posto all’attenzione della giurisprudenza di legittimità in relazione a tali due reati, è stato quello concernente l’art. 576 comma 5.1 c.p. in base al quale, nel momento in cui l’omicidio volontario venga commesso dall’autore degli atti persecutori nei confronti della stessa persona vittima del reato, si andrà ad applicare l’aggravante dell’ergastolo.

Posta, secondo l’orientamento prevalente, la natura di reato complesso circostanziato della fattispecie in esame, anche in ossequio al principio del ne bis i idem sostanziale, la giurisprudenza più autorevole, partendo dalla formulazione della norma, si è posta il quesito se l’aggravante dell’ergastolo debba essere applicata automaticamente nei confronti del soggetto che sia, nei confronti della stessa persona offesa, autore del reato di stalking ed anche dell’omicidio volontario. [10]

Secondo un primo filone giurisprudenziale, rimasto oramai minoritario, che faceva leva sostanzialmente sulla formulazione letterale dell’art. 576 comma 5.1, al soggetto autore materiale sia degli atti persecutori che dell’omicidio doloso nei confronti della stessa vittima, in maniera automatica, si sarebbe dovuta applicare l’aggravante dell’ergastolo.

Altro filone interpretativo, tuttavia, ha messo in rilievo che, se si sposasse il primo orientamento, si andrebbe a ridondare in una forma di diritto penale d’autore, del sospetto e del nemico, nonché in una forma di responsabilità oggettiva che nel diritto penale non è ammessa ed è stata stigmatizzata a più riprese dalla Corte Costituzionale a partire dagli anni 80 del 900 e si andrebbero finanche ad indebolire notevolmente le garanzie dell’imputato e non solo della vittima.

In tal guisa, il contrasto interpretativo e stato risolto dalla Suprema Corte di Cassazione a S.U. nel 2021[11] che, dopo aver evidenziato la natura complessa del reato – dato dalla somma di una fattispecie di reato base con una circostanza aggravante – ha messo in rilievo che, con riferimento alla irrogazione dell’aggravante dell’ergastolo, non si può far ricorso, conformemente al principio del favor rei, a nessuno sterile automatismo sanzionatorio.

La Suprema Corte di Cassazione ha, infatti, evidenziato che l’aggravante dell’ergastolo potrà essere contestata al soggetto autore di atti persecutori e di omicidio volontario nei confronti della stessa persona solo al ricorrere di determinati presupposti: per applicare, infatti, l’aggravante non basterà il requisito della identità soggettiva, ossia proprio il fatto che l’autore degli atti persecutori sia anche autore dell’omicidio nei confronti del soggetto passivo del reato, ma saranno necessari altri due requisiti di fondamentale importanza: il primo è quello dell’unità del contesto spazio-temporale e l’altro requisito è quello teleologico e finalisto del disegno criminoso connotato dal dolo.

In definitiva, dunque, affinché l’autore degli atti persecutori e dell’omicidio si veda contestato l’ergastolo che è la pena più severa all’interno del nostro ordinamento, non basterà che i due reati in esame siano perpetrati nei confronti della medesima persona, ma sarà doveroso che l’autore si sia rappresentato ed abbia voluto i reati in un lasso temporale ravvicinato e che l’omicidio sia, finalisticamente, quasi il naturale epilogo degli atti persecutori.

Nel caso in cui, invece, non dovessero ricorrere tali presupposti, in ossequio al principio generale sempre del favor rei, è da escludersi ogni forma di automatismo sanzionatorio con riguardo all’aggravante dell’ergastolo ed il soggetto che abbia posto in essere in maniera autonoma e temporalmente e teleologicamente connessa i reati di atti persecutori e di omicidio volontario, non si vedrà applicata la pena dell’ergastolo e risponderà singolarmente dei due reati di cui al 575 e 612 bis c.p. in concorso tra di loro.

Appare perciò evidente che l’impostazione accolta dalle S.U. sia più garantista ed è certamente più conforme, a parere della scrivente, ai principi cardini di uno Stato di diritto ispirato alla tutela dei diritti fondamentali dell’imputato che trovano il loro ineludibile fondamento nella Carta Costituzionale.

Per l’effetto, in questo già chiaro quadro normativo, col disegno di legge dell’8 Marzo 2025, il legislatore italiano, nel far fronte ad una emergenza sociale data dai sempre maggiori numeri di crimini violenti contro le donne, ha operato una precisa scelta di politica criminale procedendo alla tipizzazione dell’art. 577 bis c.p. che prevede proprio il reato di femminicidio.

Prima di svolgere delle considerazioni d’insieme riguardo alla novella legislativa, appare, però,  opportuno fare delle riflessioni ulteriori rispetto all’aggravante dell’uso dei mezzi telematici introdotta nel 2016 rispetto al reato di atti persecutori.

 

3.LA RATIO DELLE AGGRAVANTI TIPICHE IN MATERIA DI STALKING NELL’ERA DELLA DIGITALIZZAZIONE
In un momento storico in cui, anche alla luce del principio di offensività in astratto ed in concreto, il punto di vista dell’opinione pubblica ha sicuramente un pregnante peso nelle scelte di politica criminale, nonché nel concreto fluire del procedimento penale, imprescindibile per gli operatori del diritto è il confronto con quella dimensione virtuale definita metaverso in cui l’uomo, pur vivendo al di sopra di ogni distanza spazio-temporale, riesce a comunicare istantaneamente da ogni parte del mondo.

Ed invero, la diffusione spasmodica dei mezzi di comunicazione di massa all’interno del “Leviatano” della rete, ha portato inevitabilmente il legislatore moderno (ed in particolare il legislatore penale) a prendere atto della ineludibile esigenza di una tutela rafforzata dei diritti della persona in rete, conscio dei numerosi rischi a cui la dimensione virtuale espone l’uomo.

Per l’effetto, il legislatore è intervenuto attraverso la tipizzazione di specifiche aggravanti, non solo con riferimento a crimini particolarmente allarmanti dal punto di vista sociale commessi attraverso i mezzi informatici e telematici quali, ad esempio, quelli di terrorismo, ma anche con specifico riguardo a reati riprovevoli che colpiscono specificatamente la singola persona, quali appunto lo stalking di cui all’art. 612 bis c.p..

In tal guisa, proprio l’articolo 612 bis, secondo comma, prevede un aggravamento di pena ed, in particolare, sancisce che per il delitto di atti persecutori la pena è aumentata se il fatto è commesso anche attraverso l’impiego di strumenti informatici o telematici.

Per vero, una parte di dottrina e di giurisprudenza si è dimostrata critica riguardo alla previsione di un aumento di pena allorché il fatto sia commesso “solo” attraverso l’utilizzo di mezzi informatici e telematici, in quanto, secondo questo filone di pensiero si andrebbe a stridere col principio di offensività e di necessaria lesività e si finirebbe per anticipare notevolmente la soglia del penalmente rilevante; il solo utilizzo del mezzo informatico e telematico a cui non segua una pressione nei confronti della vittima nella realtà fattuale, infatti, non sarebbe in grado di apportare una effettiva lesione al bene giuridico protetto dalla norma penale incriminatrice.

In realtà, a parere dell’autrice, essendo quello di atti persecutori un reato abituale, sovente accade che la vittima sia disturbata o addirittura individuata sui social media, laddove è sicuramente più facile raggiungere un numero considerevole di persone/utenti.

Dunque, può accadere – e spesso accade – che proprio attraverso l’impiego degli strumenti informatici e telematici si inizi ad alimentare l’offesa al bene giuridico protetto attraverso sovente l’utilizzo di profili social veri o falsi che sono impiegati per intimorire la persona, coglierne le abitudini di vita, per poi passare nella realtà fattuale a porre in essere atti intimidatori e persecutori.

Ne consegue che la ratio dell’aggravamento di pena in relazione ai delitti contro la persona ed in specie con riguardo allo stalking si giustifica, in ottica preventiva, con l’ineludibile esigenza di porre l’accento sulla oggettiva possibilità delle piattaforme digitali di raggiungere, sempre più,  un numero indeterminato di soggetti da ogni parte del mondo; la realtà virtuale, infatti, a differenza della realtà empirica, il cui raggiungimento da parte dell’uomo è circoscritto ad un determinato arco spazio-temporale, può essere raggiunta istantaneamente in qualsiasi momento ed a prescindere dai limiti spaziali e temporali ed è per tale ragione che anche – e soprattutto – un delitto come quello di atti persecutori si presta bene affinché, non solo l’offesa al bene giuridico persona si inizi ad alimentare all’interno della realtà virtuale, ma si può ipotizzare che anche la consumazione del reato di atti persecutori avvenga attraverso l’impiego di strumenti informatici e telematici cagionato nella vittima effettiva (che può essere una donna ma anche un uomo) un perdurante e grave stato di ansia e di paura, ovvero si può ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero si può costringere la persona ad alterare le proprie abitudini di vita.

Indi, è in prospettiva anche di prevenzione dei delitti contro la persona e di tutela del bene vita che si giustifica una frizione della previsione della aggravante dell’uso dei mezzi digitali in relazione anche al reato di atti persecutori coi principi di offensività e di necessaria lesività in quanto logici corollari del principio legalità nella sua dimensione formale, ma soprattutto materiale. 

4.LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE
Nell’ambito del dibattito relativo al reato di stalking, un breve approfondimento merita la tematica relativa alla possibilità della parte civile, ossia del soggetto a cui il reato ha cagionato un danno, ovvero della vittima di riflesso del reato nel cui alveo sono da ricomprendersi i successori universali, di costituirsi parte civile nel processo penale al fine di richiedere il risarcimento del danno qualora rispetto a quel reato sia stata accertata da parte dell’autorità giudiziaria una verità processuale il più possibile vicina alla verità storica. [12]

La disciplina normativa inerente alla costituzione di parte civile è da rinvenirsi negli articoli 74-82 del codice di procedura penale.

In particolare, la costituzione avviene attraverso la formalità della dichiarazione scritta del libellum litis, la quale può essere presentata in udienza oppure depositata nella cancelleria del giudice fino alla fine degli atti introduttivi del dibattimento il quale, una volta apertosi, preclude la possibilità di ampliare la lite con l’azione civilistica.

E invero, anche in relazione al reato di atti persecutori di cui al 612 bis c.p. è possibile la costituzione di parte civile.

L’utilità della Costituzione di parte civile nel processo penale consiste nel fatto che, attraverso questo istituto, la vittima di atti persecutori integranti il reato di stalking fa valere il suo diritto al danno patrimoniale e non patrimoniale eventualmente subito all’interno proprio del processo penale, senza la necessità di procedere ad intentare una ulteriore causa civile.

In particolare, allorquando si sia verificato uno degli eventi descritti dal 612 bis, ovvero: un perdurante stato di ansia e di paura, un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da una relazione affettiva, ovvero la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita, le vittime del reato potranno chiedere nella sede del processo penale il risarcimento del danno.

In tale prospettiva, una pregnante importanza sarà assunta dal risarcimento del danno non patrimoniale in base ai dicta dell’art. 2059 c.c.[13], risarcibile nei casi previsti dalla legge ed in tutte quelle ipotesi in cui venga ad essere leso un diritto fondamentale della persona o comunque un valore che affonda le sue radici nella Costituzione Repubblicana.[14]

Per quanto concerne, più nello specifico, le varie categorie di danno risarcibile, è da evidenziarsi che, nel genus del danno non patrimoniale sono da ricomprendersi: il danno biologico all’integrità psico-fisica nelle sue varie anime, il danno esistenziale nelle sue componenti dinamico relazionali di vita che cambia a seguito dei fatti di reato (art.  185 c.p.) ed il danno morale soggettivo, ossia la cosiddetta “pecunia doloris” che può esserci come anche non esserci. [15]

A non essere risarcibile, invece, né iure proprioiure hereditatis, è il danno cosiddetto tanatologico, ossia da morte immediata poiché a causa giustappunto della morte immediata della persona a seguito del fatto di reato non ci sarebbe il tempo affinché il diritto al risarcimento entri nella sfera giuridica e patrimoniale della vittima o dei suoi aventi causa.

In fine, è doveroso mettere in rilievo il fatto che, in base alla normativa vigente, nonché alla luce della più autorevole giurisprudenza, sia rispetto alla categoria del danno biologico, che rispetto al danno morale, sono sempre fatte salve le possibilità di personalizzazione del danno da parte del giudice chiamato alla liquidazione. [16]

 

5.RIFLESSIONI D’INSIEME SUI REATI DI STALKING E DI FEMMINICIDIO ALLA LUCE DEL DECRETO 8 MARZO 2025: TRA ESIGENZE DI TUTELA DELLA PERSONA OFFESA E GARANZIE DIFENSIVE DELL’IMPUTATO
Posto quanto sin qui detto in relazione al reato di cui al 612 bis c.p., doverosa, alla luce del disegno di legge 8 Marzo 2025 che introduce nel nostro ordinamento giuridico il delitto di femminicidio, è la comparazione tra il reato di stalking e la nuova fattispecie incriminatrice di cui al novello articolo 577 bis c.p..

In particolare, l’art. 577 bis sancisce il fatto che “chiunque cagiona la morte fisica di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità, è punito con la pena dell’ergastolo”.

Al di là delle considerazioni che potrebbero essere svolte con riferimento alla conformità della fattispecie penale incriminatrice in punto di tassatività e di sufficiente determinatezza quali logici corollari del principio di legalità, imprescindibile appare essere il raffronto, in prospettiva critica, tra le fattispecie del 612 bis c.p., del 575 c.p., del 576 comma 5.1 c.p. e del nuovo 577 bis c.p.

Ed invero, posto che l’articolo 575 rappresenta la norma generale sull’omicidio, il 612 bis la fattispecie involvente lo stalking , il 576 comma 5.1 prevede l’aggravante dell’ergastolo nei confronti dell’omicida che si sia reso antecedentemente autore di atti persecutori ed il 577 bis riguarda il reato di femminicidio punito, a sua volta, con l’ergastolo, appare opportuno domandarsi, non solo alla luce dei fondamentali principi di eguaglianza e di non discriminazione, ma anche del principio di successione di leggi penali nel tempo, quali saranno, all’interno del fluire del processo penale (a tutela non solo certamente della vittima, ma anche dell’imputato), i rapporti tra le fattispecie sopra menzionate.

Nell’attesa delle prime applicazioni giurisprudenziali del novello art. 577 bis c.p. e nel tentativo della scrivente di lanciare alcuni spunti di riflessione di tipo eminentemente tecnico, risulta di fondamentale rilievo teorico e di fondamentale impatto pratico chiedersi, innanzitutto, quale sarà, nel raffronto tra la norma generale sull’omicidio e gli artt. 576 comma 5.1 e 577 bis, l’ambito di applicazione dell’art. 575 c.p. ed in particolare se lo stesso subirà un ampliamento od un restringimento.

In secondo luogo, in guisa critica, posto che come sottolineato nei paragrafi precedenti, alla luce delle S.U. della Suprema Corte di Cassazione, rispetto al 576 comma 5.1 l’applicazione dell’ergastolo, in caso di omicidio commesso dall’autore antecedentemente di atti persecutori nei confronti della stessa vittima, non è un automatismo, mentre, invece, la formulazione letterale dell’art. 577 bis prospetta, prima facie, la pena dell’ergastolo quasi come se fosse un automatismo in caso di femminicidi, appare doveroso domandarsi, alla luce degli articoli 3 della Costituzione e 2 del codice penale, quale sarà il nuovo ambito applicativo anche dell’art. 576 comma 5.1 c.p. ed in particolare se questa nuova norma si applicherà solo nel caso in cui la vittima sia un uomo, mentre invece nel caso in cui la vittima (prima di stalking e poi di femminicidio) sia una donna si applicherà il nuovo articolo 577 bis c.p.. Ma se così fosse, non si rischierebbe di stridere col principio di uguaglianza e di non discriminazione per ragioni legate al sesso perché, allorquando la vittima di stalking seguito da omicidio sarà un uomo si applicherà l’art. 576 comma 5.1 con la aggravante dell’ergastolo coperta dalle garanzie della pronuncia delle S.U. del 2021 sopra analizzata; mentre, allorché la vittima sarà una donna (in quanto tale fra l’altro) l’ergastolo sarà previsto quasi come un automatismo?

Ed infine, sulla base della lettera dell’art. 577 bis quali saranno i criteri che dovranno muovere il giudice ai fini dell’accertamento degli atti di discriminazione e di odio che avrebbero portato il cosiddetto “femminicida” (uomo o donna che sia) ad uccidere una donna alla luce del fondante principio generale di legalità?

Risulta, infatti, difficile che –  a meno che un soggetto non sia affetto da un vizio totale o parziale di mente e decida così di uccidere tout court e quindi sia non imputabile – nella prassi un femminicidio non sia preceduto da atti persecutori.

Indi, nonostante sia certamente molto apprezzabile lo sforzo di questo legislatore di far fronte ad una emergenza oggettiva data dai numeri di femminicidi nel nostro paese, restano comunque saldi i principi fondamentali di uno stato di diritto quali il principio di uguaglianza e quello generale del favor rei, assolutamente non derogabili all’interno di un processo penale di stampo tendenzialmente accusatorio ispirato alla ricerca di una verità processuale quanto più possibile vicina alla verità storica[17], ma che tiene sempre presenti le garanzie difensive dell’accusato ed i suoi diritti fondamentali anche al fine ineludibile di eliminare – o quantomeno di mitigare – il rischio di errori giudiziari, anche nella concreta applicazione delle norme e nella prospettiva della loro successione nel tempo.

*Dottoranda di ricerca in “Diritto della società digitale e della innovazione tecnologica”.

 

[1] Corte Cost., n.170 del 1984
[2] C. PARODI, in stalking e tutela penale. Le novità introdotte nel sistema giuridico della L. n. 38/2009, Giuffrè, 2009
[3] F. BELLOMO, in Sistema Breve del Diritto Penale, Diritto e Scienza, 2022
[4] F. MANTOVANI, G. FLORA, in Diritto Penale, Cedam, 9/2023
[5] R. GIOVAGNOLI, in Manuale di Diritto Penale Parte Generale, ITA, 11/2024
[6] R. GAROFALI, in manuale di diritto penale, nel Diritto Editore, 2024/2025
[7] W. R. CUPACH, B. H. SPITZBERG, in attuazione, ossessione e stalking, Astrolabio Ubaldini, 2011
[8] L. DE FAZIO, C. SGARBI, in stalking e rischio di violenza, Franco Angeli, 2012
[9] R. GIOVAGNOLI, in Manuale di Diritto Penale Parte Speciale, ITA, 1/2021
[10] A. CALDERONI, in stalking e atti persecutori, Edizioni Università Romane, 2009
[11] Corte di Cassazione, S.U., n. 38402 del 2021
[12] G. SPANGHER, in considerazioni sul processo “criminale” italiano, Giappichelli, 2015
[13] F. TESCIONE, in il danni non patrimoniale, Edizioni Scientifiche Italiane, 2008
[14] Corte di Cassazione, n. 8872 e 8828 del 2003
[15] Corte di Cassazione, n. 21062 del 2024
[16] Corte di Cassazione, n. 2433 del 2024
[17] O. DOMINIONI, P. CORSO, A.GAITO, G. SPANGHER, N. GALANTINI, L. FILIPPI, G.GARUTI, O.MAZZA, G.VARRASO, F. DINACCI, E. MANCUSO, C. IASEVOLI,  In Procedura Penale, Giappichelli, 2024 

 

BIBLIOGRAFIA

• A. CALDARONI, in Stalking e atti persecutori, Edizioni Universitarie Romane, 2009;
• Corte di Cass. S.U. , n. 38402 del 2021;
• Corte di Cass. n. 8827 e 8828 del 2003;
Corte di Cass. n. 21062 del 2024;
Corte di Cass. n. 21006 del 2024;
Corte di Cass. n. 2433 del 2024;
Corte Cost. N n. 170 del 1984;
• PARODI, in Stalking e tutela penale. Le novità introdotte nel sistema giuridico dalla L. 38 del 2009, Giuffrè, 2009;
BELLOMO, in Sistema Breve del Diritto Penale, Diritto e Scienza, 2022;
MANTOVANI, G. FLORA, in Diritto Penale, Cedam, 9/2023;
TESCIONE, in Il danno non patrimoniale, Edizioni Scientifiche Italiane, 2008;
SPANGHER, in Considerazioni sul processo “criminale” italiano, Giappichelli, 2015;
DE FAZIO, C. SGARBI, in Stalking e rischio di violenza, Franco Angeli, 2012;
DOMINIONI, P. CORSO, A. GAITO, G. SPANGHER, N. GALANTINI, L. FILIPPI, G. GARUTI, O. MAZZA, G.VARRASO, F. R. DINACCI, E. MANCUSO, C. IASEVOLI, in Procedura Penale, Giappichelli, 2024;
GAROFALI, in Manuale di Diritto Penale, nel Diritto Editore, 2024-2025;
• GIOVAGNOLI, in Manuale di Diritto Penale Parte Generale, ITA 11/2024;
GIOVAGNOLI, in Manuale di Diritto Penale Parte Speciale, ITA, 1/2021;
• R. CUPACH, B. H. SPITZBERG, in Attuazione, ossessione e stalking, Astrolabio Ubaldini, 2011.

Torna in alto