POLITICA, CULTURA E FILOSOFIA NELL’OPERA DI CASSIODORO

di Alberto Scerbo*

“Cassiodoro è l’uomo più completo del VI secolo, grande uomo politico ma, soprattutto, eroe e restauratore della cultura, della scienza morale e umanistica del suo tempo”1: questa definizione del calabrese Repaci può sembrare esagerata, ma rivela la volontà di esaltare un uomo che in diversi passi dei suoi scritti ha manifestato l’amore per la propria terra2 e che è stato capace di creare nel territorio di Squillace un monastero, il Vivarium, con un tratto di originalità, visto che, al pari di altri, comprende tanto la vita cenobitica quanto quella anacoretica e funziona come scriptorium, ma è l’unico del tempo che ha “il suo centro nella biblioteca”3. Se, quindi, la calabresità può costituire un fattore fuorviante di giudizio, è pur vero che, d’altra parte, su Cassiodoro può pesare una valutazione condizionata dal ruolo rivestito nella storia e dai cambiamenti intervenuti nelle diverse fasi della sua lunga vita.

L’opera imponente delle Variae ci restituisce, infatti, la figura del più importante uomo di governo del regno dei Goti e del suo decisivo contributo all’organizzazione dell’amministrazione interna e alla definizione delle fondamentali strategie politiche, ma che si premura di ignorare le vicende pubbliche più controverse e di evitare qualunque riferimento al destino del suo predecessore Severino Boezio. Ciò favorisce l’atteggiamento malevolo di importanti studiosi come Mommsen, che trasmette il ritratto di un personaggio negativo, connotato da doppiezza e inaffidabilità, per giunta nascoste dietro un’inutile verbosità retorica4. A sostegno del suo atteggiamento adulatorio è richiamata poi la Historia Gothorum, redatta su espressa richiesta di Teoderico, con l’intento di ricostruire l’originaria nobiltà dei Goti e di presentarli come i diretti continuatori del popolo romano.

Ora, per quanto si possa presumere che Cassiodoro abbia ricostruito la propria azione politica sotto la migliore luce possibile, dal suo lavoro si possono, però, enucleare alcune direttrici di fondo, in forza delle quali rivedere in maniera più equilibrata anche la sua posizione politica, per comprendere come sia il frutto di una precisa visione “filosofica”, che confluisce, con differente metodologia, nello sviluppo della successiva dimensione spirituale.

Il programma strettamente politico è tracciato già nella lettera del 508 con cui si aprono le Variae e si può riassumere nella necessità di ottenere una pace stabile, nel riconoscimento di un primato del re Goto rispetto agli altri regni, nel ridimensionamento del potere di Bisanzio in Occidente e nella conseguente apertura ad una opportunità di allargamento del dominio ostrogoto. La realizzazione di questi obiettivi non è perseguita, quindi, attraverso lo strumento bellico, ma per via diplomatica e grazie ad un ben individuato piano culturale, che traspare in modo chiaro tra le righe delle proverbiali digressioni che puntellano i documenti cassiodorei5.

Per ottenere il risultato sperato occorre, perciò, tradurre in concreto la linea di continuità tra mondo romano e gotico teorizzata sul piano storico. E il modo migliore non può essere che quello di consolidare la struttura del nuovo Regno sulle radici solide dell’Impero e, quindi, di rivestire di forma la forza del potere: “la custodia della civilitas è l’orizzonte in cui si deve dispiegare l’azione politica del regno goto”6. Il Regno dei Goti si propone, così, come una riproduzione del modello imperiale, sicché la conservazione e acquisizione dei tratti peculiari della civiltà romana consentono l’integrazione tra i popoli e la convivenza tra le religioni7. In questo processo il ruolo centrale è rivestito dall’applicazione del diritto romano, che propone uno schema di composizione delle liti basato sulla prudentia iuris (Romanorum), che diventa, in tal modo, il fondamento della iustitia Gothorum, incentrata sulla virtù della moderazione.

I progetti politici finiscono, quindi, per rivelare come nella mente di Cassiodoro sia ben impresso il bisogno di non disperdere le tracce del passato, senza rinunciare alle potenzialità dell’innovazione, principalmente nella prospettiva di perseguire la relazione dialettica tra le diversità, etnica, religiosa e culturale, per recuperare quanto vi è in comune tra esse e procedere ad un rinnovamento dell’ordinamento della convivenza.

In questa ottica le due vite di Cassiodoro appaiono meno distanti di quanto si è abitualmente tramandato. Certo, all’esteriorità della politica si sostituisce l’interiorità della religione e le norme giuridiche lasciano posto alle regole monastiche, ma lo spirito che aleggia intorno alle vasche naturali ricche di pesci non distanti dal fiume Pellena rimane quello di un vero rinnovatore, ma saldamente ancorato alla cultura antica. L’opera di mediazione svolta prima per il mantenimento degli equilibri politici si riproduce dopo nel lavoro di conciliazione tra il patrimonio della classicità e le opere della cristianità.
L’emblema più significativo è costituito dai due libri delle Institutiones divinarum et saecularium litterarum: il primo con una trattazione approfondita dei più importanti temi sacri e un’analisi dei principali testi biblici, degli scritti dei Padri della Chiesa e degli autori greci e latini presenti nella biblioteca vivariense, ed un secondo dedicato alle arti liberali, composte, secondo l’indicazione di Boezio, nel trivio, grammatica, retorica, dialettica, e nel quadrivio, aritmetica, musica, geometria e astronomia. Quest’opera costituisce, in realtà, una sorta di programma di recupero, conservazione e trasmissione tanto della letteratura teologica quanto di quella pagana, con la specifica volontà di superare il dualismo tra sacro e profano e di attuare un’autentica integrazione culturale tra antichità e cristianità8.

Tale progetto oltrepassa il piano teorico per sedimentarsi nel vivo della pratica del monastero, dove alla preghiera e alla meditazione si accompagna l’importante opera di trascrizione e copiatura dei codici, con particolare attenzione al rispetto delle regole ortografiche e grammaticali, codificate dallo stesso Cassiodoro nell’ultimo scritto, De orthographia9, necessario per riprodurre, con le correzioni e gli emendamenti dovuti, le edizioni originali ed evitare, così, errori concettuali e scorrette interpretazioni.

Ma la commistione delle culture è effettuata dallo studioso di Squillace anche attraverso l’unico testo filosofico pervenuto, il De anima. Lo scopo perseguito è certamente di tipo teologico, ma l’approccio utilizzato è più propriamente classico. Il punto di partenza è costituito, infatti, dall’insegnamento socratico del gnóti seautòn, conosci te stesso, ripreso dal frontone del tempio di Apollo a Delfi, ma che, con significati diversi, compare nell’Iliade di Omero10 ed è ripreso da Eschilo nel Prometeo incatenato11. In Socrate acquista un valore altamente filosofico, poiché cristallizza il principio ispiratore della filosofia, rappresentato dalla coscienza di “sapere di non sapere”, del tutto differente dall’atteggiamento proprio della conoscenza scientifica, incentrata sul “sapere di sapere”. Che rispecchia pienamente la svolta antropologica a cui si assiste nell’Atene del V secolo a.C. e influenza la riflessione filosofica di Platone e Aristotele e si trasmette a tutto il pensiero della classicità, anche quello di matrice cristiana, sviluppato dai Padri della Chiesa e pervenuto al multiforme lavoro di consolidamento teologico di Sant’Agostino.

Non è casuale, quindi, che il De anima sia scritto da Cassiodoro tra il 537 e il 540, come se fosse il tredicesimo libro delle Variae, quasi a raffigurare la chiusura del periodo della politica e l’inizio della successiva declinazione spirituale. Pertanto, non più un impegno di carattere operativo, ma uno spostamento degli interessi sulla ricerca degli aspetti fondamentali dell’uomo, da indagare ed approfondire per l’individuazione dei tratti compositivi dell’essere. In un’ottica di universalità.

E così, in accordo con la tradizione filosofica antica, se all’uomo è richiesta la conoscenza di sé, si pone la necessità di risolvere la relazione intima tra anima e corpo. Ma sotto questo profilo la posizione di Cassiodoro modifica, o meglio puntualizza, il lascito dei prevalenti insegnamenti teologici. Infatti, con l’intenzione di contestare la teoria platonica della preesistenza dell’anima al corpo, Tertulliano, all’inizio del III secolo, sostiene, nel suo De anima, riprendendo temi propri dello stoicismo, che l’anima viene creata e generata insieme al corpo e, per questa ragione, è una sostanza materiale. Questo carattere materiale, che precede quello spirituale, consente all’anima di governare l’attività del corpo, che include anche l’intelligenza, sicché l’uomo è costituito da un’unica sostanza e tutto il resto si pone come funzione dell’anima in un rapporto di unità. Da ciò discende un’opera di sviluppo dell’anima, come del corpo, finalizzato all’assunzione della capacità di scegliere i comportamenti più idonei al raggiungimento della salvezza. Con la morte si produce la separazione dell’anima dal corpo, che non ritorna direttamente a Dio, ma transita da un luogo intermedio in attesa della resurrezione12.

Le idee platoniche riprendono vigore con la dottrina di Sant’Agostino, che rifiuta la corporeità dell’anima di Tertulliano per affermare decisamente che essa è una creazione di Dio e ha natura spirituale. Consolida il rapporto di unità tra anima e corpo, ma secondo una visione per la quale la corporeità costituisce pur sempre la “parte inferiore” dell’uomo13, di modo che, il carattere di immortalità dell’anima non è assoluto, ma “secondo un suo modo di essere particolare”14. Ciò implica la sua sussistenza dopo la morte del corpo, in forza della sua essenza, ma anche il suo originario condizionamento a causa del peccato originale e la sua mutabilità e corruttibilità, legate inscindibilmente al diverso grado di perfezione nel processo di avvicinamento a Dio.

Nel secolo successivo Cassiodoro ribadisce l’unità di anima e corpo, ma cerca di alleggerire gli effetti del pensiero agostiniano. Permane il concetto dell’incorporeità dell’anima, che mantiene “la propria qualità sostanziale senza avere figura e corpo”15, ma è intesa come una luce, in quanto immagine di Dio, ma senza pervenire all’assoluto della verità. Si tratta di una luminosità che pervade tutte le parti del corpo, partecipando alle sue vicende terrene, per consentire agli uomini di non allontanarsi dalla grazia di Dio. Nella vita terrena l’anima contribuisce con l’ausilio delle virtù a perseguire il mantenimento di una condizione di purezza. Con la morte l’anima si separa dal corpo, ma risentirà del bene o del male compiuto in attesa della resurrezione, allorché il corpo di ognuno si ricostituirà nella sua identità e subirà il destino delle sue azioni. A questo punto l’eterna sostanza sarà sottoposta alla dannazione eterna o godrà dell’eterna beatitudine, perché non vi possono essere conseguenze diverse allo scorrere di cause eterne. Bisogna, quindi, prodigarsi nella realizzazione del bene, perché “vede veracemente il creatore quella parte di noi, che ha in sé la sua immagine, dopo essere stata purificata e resa migliore dalla grazia divina. Con quella stessa facoltà, con cui noi ora crediamo, avremo la visione, e con quella parte di noi, che è la migliore, contempleremo l’essere sommo, perfetto, singolare”16.

Cassiodoro mantiene, così, i principi fondanti della concezione elaborata dalla precedente dottrina cristiana, ma riesce, al contempo, a recuperare suggestioni provenienti dalla classicità, soprattutto attraverso il pensiero platonico, per fondare quell’opera di rielaborazione ed integrazione tra cultura antica e prospettiva cristiana che caratterizzerà la seconda parte della sua vita e che lo fa considerare, giustamente, il “primo umanista”17.

*Ordinario di Filosofia del Diritto  nell’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro

(Già pubblicato su “Ante Litteram” n.2 – settembre 2024

 

1- L. Repaci, Calabria grande e amara, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, p. 142. Per la ricostruzione della vita di Cassiodoro è fondamentale il testo di D. de Sainte-Marthe, La vita di Cassiodoro, trad. di A. Coltellaro, Globus Edizioni, Catanzaro 2024.
2- Cassiodoro, Variae, 12, 12, 1-3 e 12, 15, 1-2.
3- A. Momigliano, Cassiodoro, in “Dizionario biografico degli italiani”, vol. 21, Treccani, Roma 1978.
4- T. Mommsen (a cura di), Cassiodori Senatoris Variae, Weidmannos, Berlin 1894, pp. XXIII-XXIV.
5- Sul valore politico delle digressioni A. Giardina, Cassiodoro politico, L’Erma di Bretschneider, Roma 2006.
6- D. Monteverdi, Cassiodoro e la prudentia iuris, in L.M. Guzzo e A. Scerbo (a cura di), La parola non si ferma mai, Tomo II, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2024, p. 495.
7- Al riguardo cfr. F. Cardini, Cassiodoro il grande. Roma, i barbari e il monachesimo, Jaca Book, Milano 2009.
8- Cassiodoro, Le Istituzioni, a cura di M. Donnini, Città Nuova, Roma 2001.
9- Cassiodoro, De Orthographia, a cura di P. Stoppacci, Edizioni del Galluzzo, Firenze 2010.
10- Omero, Iliade, V, 440-442, X, 8-10.
11- Eschilo, Prometeo incatenato, vv. 309-310.
12- Tertulliano, De anima, a cura di G. Balido, Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2023.
13- Sant’Agostino, La città di Dio, XIII.
14- Sant’Agostino, Epistola 166, 2-3.
15- Cassiodoro, De anima, in M. Simonetti, E. Prinzivalli, Storia della letteratura cristiana antica, III, Piemme, Casale Monferrato 2013, c. VI. 
16- Ivi, c. XV.
17- Come definito nel volume curato da A. Ghisalberti, A. Tarzia, Cassiodoro primo umanista, Jaca Book, Milano 2021.

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