LA LEGGE A GUANTANAMO: TORMENTO O BENEDIZIONE?

di Joseph Margulies*

Quando penso agli ultimi vent’anni, mi viene in mente la frase dei Grateful Dead: «Lately it occurs to me, what a long strange trip it’s been».

I. Come Mai Guantanamo?
Immagino che la storia sia familiare, ma molto brevemente, per capire come si sia arrivati a Guantanamo, dobbiamo capire che gli attacchi sono stati interpretati, immediatamente, non come un reato ma come un atto di guerra, e che in questa guerra, l’obiettivo più importante era l’intelligence. Tutto ciò che è avvenuto in risposta all’undici settembre, negli Stati Uniti e in gran parte dell’Occidente, Italia inclusa, si fa risalire a questa comprensione: questa era, ed è, una guerra di intelligence. Siete consapevoli, ad esempio, che tutte le vostre comunicazioni elettroniche possono essere lette dalla NSA.

Naturalmente, l’11 settembre è stato un reato. Ma l’obiettivo primario dopo l’11 settembre non è stato quello di risolvere il reato – cioè, arrestare i responsabili e perseguirli – ma prevenire il prossimo attacco. L’amministrazione Bush ha capito, quasi dal primo giorno, che ci sarebbero state operazioni militari in Afghanistan, e che queste operazioni avrebbero portato alla cattura di sospetti prigionieri di Al Qaeda. E poi? Cosa dovrebbe accadere?

La risposta era semplice: gli Stati Uniti hanno voluto sviluppare una tipologia di interrogatorio che permettesse di svuotare il contenuto della testa di un prigioniero. Avevano bisogno di un luogo, o diversi luoghi, dove qualsiasi interrogatorio potesse essere condotto in ogni momento, senza alcun controllo giudiziario o vincolo giuridico. Hanno voluto liberarsi dai limiti imposti dal diritto nazionale e internazionale. Secondo l’amministrazione Bush gli interrogatori nel mondo dopo l’11 settembre non dovevano più essere soggetti a nessuna restrizione, a eccezione di quelle che essi stessi si sarebbero volontariamente posti.

La maggior parte di questi è stata condotta dai militari americani nelle basi in Afghanistan e Guantanamo. Per raggiungere la massima flessibilità, gli Stati Uniti hanno gettato via la Convenzione di Ginevra. La natura e la brutalità degli interrogatori militari varia moltissimo. Alcune persone vengono interrogate solo brevemente; tuttavia, molte altre centinaia, incluse praticamente tutte le persone trasferite a Guantanamo, sono state soggette a svariati abusi, inclusi la deprivazione del sonno, la manipolazione ambientale, posizioni di stress, umiliazioni fisiche e sessuali e violenze.

Abbiamo intentato Rasul v. Bush per rispondere a questo vuoto, questo posto senza i freni della legge. Abbiamo detto in Rasul che non c’è una prigione fuori la legge. Abbiamo voluto inserire la legge in un posto dove, ed a un tempo quando, non c’era ricettività della legge. Che dev’essere un modo per contestare la legittimità legale e fattuale della detenzione in un tribunale, e per mostrare che – in ogni caso particolare – lo Stato ha commesso un errore. Punto.

E abbiamo vinto. La Corte Suprema ha detto che i detenuti potrebbero contestare le basi della loro detenzione in tribunale.

 

II. La Legge Come Tormento
Anche se abbiamo vinto, la legge ha fallito a Guantanamo, in almeno tre sensi.

a. La Legge Come Complice
Primo, la legge ha permesso all’amministrazione Bush di creare Guantanamo. Ha permesso la tortura e le prigioni segrete. La legge ha permesso l’intera architettura del regime di detenzione dopo l’undici settembre. In realtà, il regime non sarebbe stato possibile senza la legge. Negli Stati Uniti, veneriamo la legge, e soprattutto la Costituzione. Non è possibile creare un nuovo aspetto della vita americana senza prima dimostrare che è coerente con la Costituzione, e non solo con le parole ma anche con lo spirito della Costituzione.

E quindi l’amministrazione ha dovuto stravolgere e contorcere la legge per adattarla a un luogo come Guantanamo ed a una pratica come la tortura. E l’ha fatto. Come ho scritto in un libro, What Changed When Everything Changed, 911 and the Making of National Identity, l’amministrazione ha reimmaginato ciò che la legge consente per preservare il nostro mito di innocenza e purezza. In questo senso, la legge è complice nel tormento. La legge fa parte del nostro incubo dopo 9/11 tanto quanto la tortura che ha permesso.

b. La Legge Come Falsa Speranza
Anche la legge ha fallito in un senso diverso. In Rasul, non abbiamo vinto un risultato, ma un processo. Quando il tribunale – ogni tribunale – crea un processo, vogliamo credere che sia vero, che sia reale. Vogliamo credere che i risultati del processo saranno divisi tra le parti perché i fatti non favoriranno sempre una parte rispetto all’altra, e quindi le regole che risolvono i casi non favoriranno una parte rispetto all’altra. Che, insomma, ci sia una possibilità di vittoria per tutte le parti. Altrimenti, non è un processo, è una finzione. Quella è la speranza di ogni processo e della legge che l’ha creato.

In questo caso – in Rasul – abbiamo ottenuto il diritto di obbligare lo Stato a mostrare le basi legali e fattuali della detenzione di un detenuto. Ma la Corte Suprema ha lasciato i dettagli del processo ai tribunali di grado inferiore, e loro hanno creato un processo in cui lo Stato non può mai perdere e i detenuti non possono mai vincere. Mai. I dettagli non sono importanti ora; ci sono varie presunzioni a favore delle prove dello Stato. Ma il punto è solamente che non è un processo vero. È solo l’aspetto di un processo. È l’opportunità di entrare il tribunale e di iniziare il processo, ma come in un processo alle streghe, tutti conoscono l’esito prima che inizi.

c. La Legge Come Mito
Anche la legge ha fallito in un terzo senso, un senso più complesso. In un modo collegato al mito della legge. Cioè, purtroppo, esiste un mito negli Stati Uniti che la legge funziona. Che la legge possa limitare il potere. E quando abbiamo vinto Rasul, tutti i giornali e le riviste e la TV hanno detto, “Guarda. Ci piace dire che siamo un paese di leggi e non di uomini, ed è vero. Anche in tempo di guerra, la legge funziona”. In questo senso, la legge rafforza il suo stesso mito. Per me, questo è il mio tormento. Tante persone dicono che ho vinto qualcosa importante per quanto riguarda la legge, che Rasul sia una decisione storica. Ma non è vero. Rasul è vuoto.

 

III. La Legge Come Benedizione
O forse no. Per tanti anni, pensavo che Rasul fosse stato vuoto. Ora non so. Due anni fa, sono stato in carcere ad Opera, una prigione di massima sicurezza vicino a Milano. Mi sono incontrato qualche volta con un gruppo di ex-mafiosi che sono stati sotto il 41bis. Perché non sono pentiti, vivono in un tipo di purgatorio. Non sono sotto il 41bis, ma neanche possono essere rilasciati. Sono liberi dall’incubo del 41bis ma non sono liberi. Da sempre. È straordinario. Ne La Peste, di Albert Camus, c’è una famosa frase. Il narratore disse delle persone intrappolate dalla peste, “in a middle course between these heights and depths, they drifted through life rather than lived, the prey of aimless days and sterile memories”.

Nel mio ultimo giorno ad Opera, ho fatto una lezione su un libro che scrivo. Il mio soggetto è il perdono. Non perdono personale ma quello che chiamo, perdono sociale, e ho descritto la mia filosofia morale personale. Penso che non ci sia un altro. C’è solo noi. Questa filosofia mi lega, a un livello di umanità condivisa, a persone che hanno causato un dolore inimmaginabile, ma in ogni modo che conta, so che non sono diverso da loro e che loro non sono diversi da me. Come Roberto ci ha detto ieri quando ha raccontato la storia della Stanford Prison Study, tutti possono fare cose mostruose. E se tutti possiamo essere mostruosi, nessuno è un mostro. Ho detto che immagino un mondo molto più clemente del nostro. Un mondo in cui la punizione procede dalla premessa che i malfattori erano, sono, e rimarranno sempre uno di noi, e in cui l’obiettivo della punizione non è scacciare ma riportare. Un mondo in cui le persone non sono intrappolate nel loro passato.

Dopo la lezione, i ragazzi erano molto grati e riconoscenti, ma mi sembrava che fossero grati in una misura che non può essere spiegata dalle parole che ho detto, ma piuttosto dal fatto che le avevo rese visibili. In quel momento, ho realizzato che spesso, la cosa più importante è rendere visibile l’invisibile e dichiarare a loro e al mondo che non sono stati dimenticati, non sono stati abbandonati e non saranno mai scacciati. Loro sono noi. Spesso, la cosa più importante non è la legge. Non sono i tribunali. È riconoscere la nostra umanità condivisa e dichiararla a loro e al mondo. E Rasul ha permesso tutto questo. In Rasul abbiamo ottenuto il diritto di visitare gli uomini e i ragazzi detenuti a Guantanamo e di portare la loro realtà al mondo. Abbiamo ottenuto il diritto di renderli visibili. E perché la loro realtà è stata spaventosa, rendere questa visibile è far vergognare coloro che la mantengono. E perché i governi non vogliono essere svergognati, quello che abbiamo fatto ha contribuito a screditare la prigione, rendendola illegittima e quindi costringendo al rilascio di centinaia di detenuti. Oggi ci sono 30 detenuti a Guantanamo. Più di 750 sono stati rilasciati. Non perché la legge lo richiedesse, ma perché lo richiedeva la pretesa di umanità.

Qual è la cosa più brutta a Guantanamo? È il fatto che Guantanamo rende l’umanità dei detenuti invisibili. In Rasul abbiamo vinto la capacità di renderla visibile. Quindi, anche se tutti loro fossero ancora a Guantanamo, la legge avrebbe comunque permesso una benedizione perché la loro umanità sarebbe stata resa visibile e non sarebbe andata persa. A volte, in un mondo freddo, è tutto ciò che si può chiedere. Quindi, alla domanda – “La legge a Guantanamo: Tormento o Benedizione? – la risposta è sì.

*Professore di Law and Government, Cornell University

 

(Testo dell’intervento al Convegno “Il ritorno della crudeltà: il diritto come tormento”, tenutosi a Catanzaro il 21 e 22 giugno 2024, promosso dall’Università Magna Graecia e patrocinato anche Camera Penale “Alfredo Cantàfora” di Catanzaro. E già pubblicato su Ante Litteram n.3 – dicembre 2024)

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