di Valentina Alberta* –
PREMESSA
Nel dicembre 2023, appena annunciata la presentazione dell’ennesimo pacchetto sicurezza approvato dal Governo (la cui discussione parlamentare è stata poi avviata nel successivo mese di gennaio dopo la presentazione del ddl AC1660, promosso, con grande enfasi, dai Ministri della Giustizia, dell’Interno e della Difesa), la Camera Penale di Milano aveva ritenuto di lanciare un allarme, da estendere anche all’avvocatura non penalista, per rappresentare i rischi insiti in un intervento particolarmente preoccupante, non solo per l’eccessivo ricorso allo strumento penale rispetto ad una serie di emergenze piuttosto eterogenee e tutte da dimostrare, ma anche per il target di una serie di interventi, chiaramente orientati ad incidere sul rapporto Stato/cittadino attraverso un atteggiamento repressivo mirato verso la protesta, il disagio e la marginalità, i luoghi di detenzione.
Si era allora dato a quel momento di confronto il titolo che si riprende oggi, realizzando come allora ci fosse permessi di ironizzare sui fondamenti del nostro sistema penale. Oggi, la riflessione si è trasformata in protesta e vede coinvolti non solo i penalisti di UCPI ma anche magistrati, professori e cittadini.
Addirittura, i primi ad intervenire, a DL annunciato ma non ancora pubblicato, sono stati prima l’Associazione dei Professori di Diritto penale[1], e, a ruota, l’Associazione Nazionale Magistrati[2], con documenti dai toni duri, raramente adottati da interlocutori molto meno “movimentisti” dell’avvocatura penalistica.
E proprio noi avvocati penalisti siamo scesi in piazza il 7 maggio scorso, al terzo giorno di astensione[3]; avevamo già protestato il 5 novembre 2024, dopo l’approvazione alla Camera del ddl 1660[4].
Il fronte è ampio e vede una voce unica, che si era peraltro già levata all’unisono – come difficilmente accade – nelle numerose audizioni parlamentari alla Camera sul ddl poi trasmesso al Senato (AS 1236) ed infine “scippato” al Parlamento attraverso lo strumento della decretazione di urgenza.
La compattezza delle critiche si è incentrata in prima battuta sul metodo, che forza l’art. 77 Cost. con un provvedimento eterogeneo e non giustificato dalle straordinarie ragioni di urgenza che sole legittimano la potestà legislativa del Governo[5]. Un anno di dibattito parlamentare, che aveva anche portato alla modifica di alcune disposizioni è stato posto nel nulla.
Ma oltre al metodo, il dissenso è stato ed è anche sul merito del provvedimento, nella consapevolezza che la prassi dei c.d. “pacchetti sicurezza” non sia certo una novità; essa è stata più volte adottata in passato per interventi marcatamente punitivi, con sanzioni sempre più elevate, con divieti di bilanciamento tra circostanze, con automatismi legati alla recidiva (per indicare tre ambiti nei quali più volte è poi dovuta intervenire la Corte costituzionale ad annullare disposizioni contrarie ai principi di proporzionalità, di individualizzazione della pena, di finalità rieducativa delle pene).
La contrarietà nel merito si incentra, in sostanza, a prescindere da ogni valutazione circa le “questioni”, i “fenomeni” considerati nel provvedimento, sul fatto che esso sia stato presentato come volto ad affrontare nel suo complesso temi legati alla sicurezza, ma che in concreto non incida minimamente sulla sicurezza. Questa è una nota comune, volgendo lo sguardo solo poco indietro, con il cosiddetto Decreto Caivano, dichiaratamente rivolto al “contrasto al disagio giovanile, alla poverta’ educativa e alla criminalita’ minorile”, ha invece creato, aumentando la pena per il reato di cui all’art. 73 co. 5 DPR 309/90 e diminuendo le soglie di applicabilità della custodia in carcere per i minori, un gravissimo problema in ordine alla gestione degli IPM, che non hanno mai sofferto del sovraffollamento attuale[6]; oppure che, vietando la messa alla prova per una serie di reati, ha tolto la speranza di percorsi di reinserimento a ragazzi portatori di un disagio certamente affrontabile con strumenti diversi rispetto al carcere[7]. Ma, voltandosi appena un poco più indietro, è evidente come analoga distonia tra proposito dichiarato ed effetti concreti hanno avuto le normative con le quali si sono introdotti l’omicidio “nautico” o l’omicidio “stradale”, normative che rientrano in quello che il professor Sgubbi aveva, con una efficace espressione, definito “legislazione penale compulsiva”[8], questione attuale come non mai e che si ripropone ora con la disciplina relativa al cosiddetto “femminicidio”.
La parossistica legislazione del penale sostanziale, con norme simboliche che creino la percezione di un rimedio istantaneo nell’opinione pubblica, non vede per fortuna analoghi interventi in materia processuale, dove la torsione dei meccanismi per “combattere” fenomeni come la mafia o il terrorismo ha dato luogo in passato a interventi che dall’emergenza si sono via via spostati sul piano della regola; segnalo però che quell’unica norma processuale legata alla occupazione abusiva di immobili, il nuovo art. 321 bis c.p.p., prevede una misura di rilascio immediato coattivo che segue una procedura e tempistiche assolutamente distanti rispetto ai principi di sistema relativi alle misure idonee ad incidere direttamente sulla libertà del soggetto “rimosso” dall’immobile. Ci si deve augurare che non divenga un modello da estendere.
In sostanza, il decreto 48 del 2025, ora convertito nella legge 80, ha certamente un carattere illiberale, discriminatorio e criminogeno.
Il diritto penale è usato come strumento di propaganda. Gli esempi sono numerosi: ci sono nuovi reati, nuove aggravanti, aumenti di pena, evidenti sproporzioni sanzionatorie tra fattispecie (occupazione abusiva punita con una pena sovrapponibile a quella previste ad esempio per l’abbandono di persone incapaci con conseguenza lesioni gravi o morte, oppure per il sequestro di persona, o per l’omicidio colposo con la violazione delle norme antinfortunistiche).
Vi è poi un’altra linea, quella del potenziamento della tutela delle forze dell’ordine, che “hanno sempre ragione”[9]. Vi è una criminalizzazione particolarmente intensa della protesta, che non ha nulla a che vedere con la sicurezza, soprattutto rispetto a forme di protesta tradizionalmente pacifiche come le occupazioni di vie di comunicazione al fine di ostacolare la circolazione, ovvero l’accattonaggio con minori fino ai 16 anni. Comportamenti riprovevoli o forse disturbanti ma certo non legati alla sicurezza, quanto piuttosto a quel tipo di fastidio che si ritrova nelle ragioni fondanti i provvedimenti che hanno adottato le cosiddette “zone rosse” nelle grandi città; si vogliono rimuovere dalla vista categorie di persone che disturbano, che non piacciono, che esprimono disagio o marginalità.
Ancora il provvedimento colpisce i luoghi di chiusura. I CPR, luoghi terribili gestiti privatamente e senza regole trasparenti, parificati nel provvedimento al carcere, quando la detenzione amministrativa – che non consegue a reati – non vede neanche la tutela dei diritti tramite la magistratura di sorveglianza, per cui solo la protesta può conseguire alla violazione di diritti. Vi è infine il carcere, con nuovi reati e nuove ostatività, con i rapporti interni governati con il diritto penale anziché con il rispetto di funzioni e con l’eventuale procedimento disciplinare. Sul carcere tornerò di qui a breve.
A fronte di tutto ciò, la compattezza della reazione di cui si è detto, che ha visto tra l’altro la diffusione di una serie di possibili questioni di costituzionalità sul decreto evidenziate in documenti delle camere penali[10]. Ma la reazione dei giuristi deve fare i conti con quella, opposta e decisa, dell’opinione pubblica, che invoca sicurezza e plaude al provvedimento. Non possiamo che chiederci allora quale sia il significato del termine sicurezza, come presupposto logico a qualsiasi valutazione sul provvedimento. La sicurezza è un bene primario, è fondamentale avere la sicurezza sociale, la sicurezza dei propri diritti; come diversi criminolgi sottolineano[11], i fattori che incidono sulla percezione di sicurezza sono molteplici ed alcuni assolutamente soggettivi, legati ad esperienze individuali. Ma lo Stato, nel momento in cui legifera soprattutto in materia finale, non può farlo se non su basi scientifiche e quindi su dati che, dal punto di vista del ragionamento logico, portino ad adottare rimedi razionali rispetto ad una situazione oggettivamente esistente.
LA NARRAZIONE
Il primo aspetto di necessaria analisi è quindi la valutazione della rispondenza a realtà della dichiarata emergenza sicurezza. La risposta è immediata: l’insicurezza è indotta attraverso una operazione mediatica condotta attraverso i mezzi di informazione tradizionali (soprattutto le televisioni) e amplificata dalla cassa di risonanza dei social. Tra gli interventi del pacchetto sicurezza, ce ne sono almeno tre che si caratterizzano per il loro carattere “mediatico”, alcuni in senso stretto, altri frutto di narrazioni di altra natura ma fondate sul medesimo meccanismo. L’elaborazione del reato “televisivo” avviene di norma in una trasmissione, magari di prima serata, nella quale si individuano alcuni casi di condotte certamente odiose e fastidiose e su questi casi si conduce un battage ripetuto insistito e con toni drammatici, adottati da chi i servizi televisivi li prepara e che richiede adesione a questi toni alle persone che vengono interpellate sul punto. L’esito è la narrazione che trasforma alcuni specifici casi in veri e propri “fenomeni”, che si consolidano e divengono tema di effettiva emergenza, da affrontare con appositi provvedimenti legislativi.
Il caso più noto, quello delle cosiddette “borseggiatrici” corrisponde a questo meccanismo narrativo, al quale ha dato un certo contributo anche l’atteggiamento della Procura della Repubblica di Milano che, prendendo atto dell’allarme lanciato dai media, ha revocato ormai qualche anno fa (anticipando sinistramente l’intervento legislativo) la circolare che impediva anche solo il transito delle donne incinte o madri di prole di età inferiore all’anno nelle carceri[12]. Da un fenomeno assolutamente limitato da un punto di vista quantitativo (certo non esiste una emergenza in questo caso) è nato un movimento “anti borseggiatrici”, tanto che ormai su qualunque mezzo pubblico si sente il tipico annuncio “attenzione borseggiatrici, attenzione pickpocket”, con il grottesco effetto di far segnalare con gesto istintivo la tasca in cui il portafogli o il cellulare è riposto…. Il risultato è stato l’abolizione di un principio di civiltà che il codice Rocco aveva salvaguardato in nome del principio della tutela dell’infanzia, prima ancora che fosse cristallizzato nell’art. 31 Cost.
Secondo esempio: il reato di occupazione abusiva è riconducibile ad altre trasmissioni, che hanno creato l’ampia categoria degli “occupanti”, sottoposti a spedizioni punitive basate sull’assunto che “la presunta vittima ha certamente ragione”; un fenomeno certamente odioso e non legale, già punito peraltro dal codice penale, è stato trasformato in una emergenza sociale senza che nessuno sappia se i dati statistici forniscono una base per tale trasformazione. Analogamente (se non altro per lo strumento mediatico usato, stesse trasmissioni sullo stesso canale televisivo) si è proceduto rispetto alla aggravante del fatto commesso nelle stazioni (il nuovo 11 decies dell’art. 61 c.p.), con le assurde conseguenze in termini di gravità di reati[13], non certo superate con l’inserimento della precisazione che l’aggravante vale solo per i reati contro la persona e il patrimonio.
Ancora, le carceri, trasfigurate per via di provvedimenti liberticidi adottati negli anni recenti in vere e proprie polveriere, hanno visto la necessità di reprimere qualsiasi comportamento non conforme alle regole interne ancora una volta attraverso l’intervento (pesantissimo) del diritto penale. La narrazione, derivante da interviste di personaggi anche di primo piano dell’amministrazione e comunicati sindacali della polizia penitenziaria, secondo la quale gli istituti penitenziari sono teatro di sopraffazione e delinquenza, ha vinto, sul piano comunicativo e anche normativo, sulla realtà di disagio solitudine e disperazione delle carceri italiane. Ci si tornerà oltre.
Per quanto riguarda la percezione della sicurezza urbana, a Milano la leggenda di “Gotham City” (sulla quale persino il sindaco aveva in passato ironizzato, ma che ora guida i provvedimenti prefettizi di istituzione delle zone rosse) ha giustificato ore e ore di trasmissioni televisive e commenti preoccupati di politici di ogni colore e comunicati stampa della Procura della Repubblica volti ad evidenziare pressoché in via esclusiva reati di strada preferibilmente commessi da stranieri.
Ma qualcosa non torna. I dati della prefettura di Milano sul rapporto tra i reati del 2024 e dell’anno precedente sono stati inequivocabili: i reati anche predatori di strada si sono ridotti del 10%[14]. Taluno giunge allora parossisticamente a dubitare della veridicità dei dati, pur di poter continuare a coltivare la tesi della emergenza sicurezza.
Il problema è la narrazione ed è un problema serio; è un problema a cui non è estraneo un certo meccanismo di anticipazione alla fase delle indagini preliminari di tutte le vicende processuali. Le Procure, attraverso la comunicazione giudiziaria (e non solo, talvolta) nutrono l’informazione a proposito della “repressione” dei reati, autoattribuendosi il compito di rassicurare i cittadini sul controllo del territorio; ad esempio a Milano, nel 2024 si è registrato un aumento degli arresti del 30% e il dato conferma nell’opinione pubblica che c’è insicurezza, “perché sennò non ci sarebbe la necessità di arrestare tutta questa gente … “. Le forze di polizia non sono da meno, con comunicati poco attenti alla presunzione di innocenza e con iniziative di marketing volte al consenso: la polizia addirittura si è inventata a Milano la Crime Prevention week[15].
Questo è il senso del diritto penale simbolico, che introduce nuovi reati per rassicurare più che per incidere sui fenomeni; e ai sostenitori del diritto penale simbolico interessa molto poco l’idea dell’accertamento e del processo, molto di più la denuncia immediata, l’intervento rapido. Ma il sistema giudiziario deve invece curarsi all’accertamento, che non interessa affatto all’opinione pubblica: il diritto penale simbolico vuole una condanna immediata, e non si preoccupa del processo.
Il passaggio conseguente di questo dramma della narrazione è la sfiducia verso la giurisdizione. Lo storytelling, quando l’accertamento porti ad una eventuale assoluzione, si tramuta rapidamente in un nuovo slogan “i buoni li arrestano ma i cattivi (giudici e avvocati) li liberano”; da qui, l’indignazione perché in Italia nessuno sconta mai una pena, perché tutti quelli portati in carcere dalle forze dell’ordine, sempre viste come infallibili, vengono liberati. Nessuna analisi seria sul fatto che, al di là delle quasi 63 mila persone detenute, spesso le scarcerazioni avvengono per mancanza dei presupposti applicativi di una misura custodiale.
Le responsabilità di questo fenomeno sono molto difficili da individuare; ma credo che vada combattuto con la massimo col massimo impegno attraverso in primo luogo un’operazione di verità sul tema delle emergenze che non sono tali. Le fake news, come i cosiddetti fake truth (notizie singolarmente vere ma che collegate e presentate in modo fazioso creano narrazioni fasulle[16]), sono il punto nodale della cultura dell’emergenza e dell’insicurezza.
PREVENZIONE O REPRESSIONE?
Se si supera il primo quesito circa la fondatezza scientifica della esistenza di emergenze (e, nel caso specifico, se ne deve fortemente dubitare), ci si deve chiedere se esse vadano affrontate utilmente con la repressione, e dunque con lo strumento penale, oppure con la prevenzione.
Questo è il tema che ci vede maggiormente concordi e saldi nelle nostre convinzioni. Quel meccanismo mediatico descritto in precedenza porta alla chiusura, alla paura, e a quel punto l’intervento salvifico della politica con lo strumento penale appare necessario; ma è per noi ovvio che l’intervento di questo tipo, a costo zero (quanto meno nell’immediato) non ha alcun effetto di prevenzione dei fenomeni criminali né contribuisce a creare maggiore sicurezza.
Altri sarebbero gli interventi, che necessiterebbero però di un investimento serio, idonei ad incidere in genere sui fenomeni individuati come ragioni dell’intervento: una migliore cura delle città, dall’arredo urbano alla riqualificazione delle aree degradate alle telecamere di sorveglianza alla illuminazione stradale; la creazione di luoghi di aggregazione in cui le persone possano riunirsi e popolare pacificamente le notti delle città; i servizi sul territorio idonei a prendere in carico le cause del disagio (invece di affannarsi nel reprimerne gli effetti) e dunque i problemi di dipendenza, il disagio psichico, il disagio sociale; forse anche politiche diverse in materia di stupefacenti e immigrazione, ma qui il discorso si farebbe più complesso.
Certo è però che l’intervento penale dovrebbe restare l’extrema ratio.
È evidente quindi che le modalità dell’intervento messo in campo siano quelle della “truffa delle etichette”[17]. Dietro la preoccupazione della sicurezza, si cela altro; ma “il passepartout della tutela della sicurezza pubblica (è) una sorta di pubblicità ingannevole, a cui, in questa democrazia emotiva percorsa da un pandemico senso di precarietà di insicurezza e di pericolo sempre imminente, la collettività non mancherà di dar credito”[18].
Le conseguenze di questo provvedimento non sono però purtroppo solo simboliche, posto che queste norme saranno applicate in concreto.
E saranno norme con conseguenze criminogene, posto che l’effetto dell’aumento delle pene, se non ha certamente un’efficacia generalpreventiva, porta al rischio di maggiore criminalità. Infatti, tale finalità della pena si perde quando l’aumento delle pene sia così ampio e diffuso, che si riduce il divario sanzionatorio tra reati di minore gravità e reati più seri, con l’effetto che viene incentivata la commissione dei fatti più gravi.
Saranno norme generatrici di tensione sociale, poiché incidono direttamente nel rapporto tra cittadino e Stato, ponendo i rappresentanti di quest’ultimo in una posizione di forza quasi incondizionata.
Saranno norme distruttive rispetto alla già difficile situazione carceraria, posto che la logica di chiudere le persone in carcere per un tempo indefinito non crea certo sicurezza ma piuttosto recidiva. Vediamo infatti qual è la situazione degli istituti penitenziari oggi.
LE CARCERI
Che cosa sono le carceri oggi? Le carceri oggi sono luoghi di sofferenza enorme, sono luoghi sovraffollati, sono luoghi di suicidio (a proposito di fake truth, va smentita la storia che il suicidio sia connaturato alla detenzione, posto che, mentre fuori dal carcere l’Italia è uno dei paesi con il tasso suicidario più basso in Europa, tra i reclusi la posizione in classifica è tristemente alta[19]), sono luoghi chiusi (la permanenza in cella è diventata la regola), sono luoghi di isolamento (spesso senza controllo della magistratura di sorveglianza, come per le sezioni ex art. 32 reg. penit.), sono luoghi di tensione (le aggressioni, che con la chiusura delle celle si assumevano sotto controllo, sono aumentate, inevitabile conseguenza della cattività).
Il carcere di oggi è un luogo dove i trasferimenti “disciplinari” sono diventati la regola per gestire la tensione dovuta al sovraffollamento e all’aumento degli eventi critici, seppure ci siano norme dell’ordinamento penitenziario che prevedono, da una parte, le sanzioni disciplinari solo a seguito di apposito procedimento, e, dall’altro, il principio di territorialità della pena. Ma tramite circolare vengono derogate e superate illegalmente norme primarie, come accade con una certa frequenza in ambito penitenziario.
Dentro il carcere di oggi, c’è disagio sociale e psichico, c’è tossicodipendenza, c’è una forte presenza di immigrati particolarmente problematici per i viaggi terribili che affrontano.
E invece la narrazione del carcere che viene fornita da quegli stessi media che creano la percezione di insicurezza è di carceri sono fuori controllo, in mano alla criminalità organizzata (anche quando questo non sia possibile per i diversi circuiti di assegnazione a seconda del titolo di reato), piene di droni e di cellulari (di cui non vengono mai forniti i dati precisi e soprattutto non si dice che i cellulari servono spesso per chiamare gli affetti familiari con i quali è ancora consentita, di regola, solo una telefonata alla settimana di 10 minuti). Abbiamo una narrazione che presenta al pubblico soltanto la necessità di reprimere continue rivolte (che vengono nominate ma mai descritte), con la creazione di corpi speciali, con la fornitura di fucili anti droni, con un rafforzamento ulteriore della polizia penitenziaria (mentre ci sarebbe un enorme bisogno di personale che ascolti il disagio di chi è recluso). E questa narrazione, spesso coltivata dai sindacati di polizia penitenziaria[20], prima ancora dei pacchetti sicurezza ha spesso dato luogo all’interno del carcere alla anticipazione del meccanismo di creazione di emergenze e di conseguenti interventi repressivi. L’introduzione del reato di rivolta in istituti penitenziari rientra esattamente in questo schema. La criminalizzazione della rivolta anche attraverso condotte di resistenza passiva (che erano prese in considerazione in precedenza solo per legittimare l’uso della forza nei limiti strettissimi dell’art. 41 OP) non certo richiesta da una “emergenza rivolte”, porterà in concreto alla repressione del dissenso delle persone detenute e alla applicazione della fattispecie verosimilmente alle tantissime persone che, dai dati del Garante nazionale delle persone private della libertà personale, pongono in essere atti di protesta collettiva di qualsiasi genere[21]. E la conseguenza sarà un ulteriore prolungamento delle pene medie[22]. E una ulteriore riduzione delle uscite dal carcere in misura alternativa, posto che i dati dimostrano come l’aumento della popolazione detenuta non sia tanto dovuto ad un incremento degli ingressi[23] ma ad una riduzione delle uscite in misura alternativa, divenute sin troppo efficaci per impedire ingressi in carcere dalla libertà (visti i numeri enormi della penalità esterna) ma molto meno per deflazionare il numero di detenuti.
Ed infine, se consideriamo il fatto che in carcere molto spesso si anticipano fenomeni destinati ad allargarsi alle persone libere, potremo ritrovarci con un reato di resistenza passiva anche per chi sia (ancora) in libertà.
Come Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, ha di recente scritto in una lettera aperta a proposito della chiusura del mondo carcerario[24], dobbiamo rispondere ad una sola domanda per decidere come porci rispetto a questi fenomeni: “Asserragliati nella fortezza, terrorizzati anche dal nostro vicino di casa, armati fino ai denti per difendere i nostri beni, diffidenti e capaci di vedere negli altri solo un potenziale nemico: è questo il mondo in cui vogliamo vivere?”.
Se la risposta è no, svegliamoci dall’incubo e ritorniamo alla versione originale di Beccaria.
*Past President Camera Penale di Milano
[1] Comunicato AIPDP, Sist. penale web, 9 aprile 2025
[2] Comunicato ANM, Sist. penale web, 14 aprile 2025
[3] Delibera di astensione UCPI, Sist. penale web, 12 aprile 2025
[4] Delibera di astensione UCPI, Sist. penale web, 31 ottobre 2024
[5] L’incipit del DL mette in chiaro come la maggioranza delle ragioni addotte a motivo della decretazione di urgenza non rivesta neppure il requisito della “straordinaria” necessità ed urgenza, riservata solo agli interventi a favore delle Forze di Polizia e delle vittime di usura, ma non agli interventi sulla prevenzione del terrorismo, sulla sicurezza urbana e sull’ordinamento penitenziario, necessari e urgenti ma non “straordinariamente” tali.
[6] V. Minori, XXI rapporto sulle condizioni di detenzione, Antigone.
[7] GAMBERINI, Il decreto Caivano: un intervento “barbaro” sulla disciplina della giustizia penale minorile, Diritto di difesa, 20 settembre 2024
[8] SGUBBI, Il diritto penale totale, Il Mulino, 2019, ma già era il titolo di un volume curato da INSOLERA, Cedam , 2006.
[9] Di “ipertutela delle forze dell’ordine” parla G. Giostra, Con il Decreto Sicurezza il Governo ignora lo Stato di diritto e maltratta la Costituzione , il Domani, 6 maggio 2025
[10] A titolo esemplificativo, ma l’elenco andrebbe aggiornato in continuazione, dopo il primo documento di UCPI (https://camerepenali.it/public/file/Documenti/Documenti_Giunta_Petrelli/2025-04-22_UCPI_OSSERVAZIONI-al-Decreto-legge-11-aprile-2025-n-48-art-10.pdf), ne sono seguiti altri: https://www.camerapenalenovara.com/pubblicazioni/decreto-sicurezza-dl-48-2025/, https://camerapenalemilano.it/2025/05/eccezione-dillegittimita-costituzionale-del-d-l-sicurezza-per-violazione-dellart-77-cost/
[11] V. in particolare CORNELLI, Il Ddl Sicurezza alla prova della ricerca criminologica: prime annotazioni critiche, Sistema penale web, 27 maggio 2024
[12] La vicenda è riassunta nel documento pubblicato qui: https://camerapenalemilano.it/public/file/DOC%20CD%20E%20COMM%20CARCERE%2027.06.2022%20DONNE%20INCINTE%20E%20CON%20BIMBI%20NEONATI%20IN%20GALERA.pdf
[13] Sulle quali si fonda la questione di legittimità costituzionale già propsta dalla procura di Foggia (https://www.sistemapenale.it/it/documenti/decreto-sicurezza-questione-legittimita-costituzionale-nuove-aggravanti-di-cui-agli-artt-337-co-2-e-61-n-11-decies).
[14] I dati forniti dalla Prefettura sono riportati qui e vedono piena confrerma nelle notizie più recenti: https://www.milanopost.info/2024/12/29/prefettura-nel-2024-reati-predatori-a-milano-in-calo-oltre-10/
[15] http://www.giustiziami.it/gm/e-arrivata-la-crime-prevention-week-ci-credete/
[16] Da anni sottolinea questo pericolo GIOSTRA, Per la democrazia peggio delle false notizie ci sono le false verità, La lettura – Corriere, 2 ottobre 2018
[17] Così PETRELLI, Dannoso e inutile: la ‘truffa’ del pacchetto sicurezza, L’Unità, 5 novembre 2024
[18] Ancora GIOSTRA, È “necessario e urgente” rifondare il DL sicurezza, Sistema penale web, 29 aprile 2025
[19] Dossier sui suicidi in carcere nel 2023 e nei primi mesi del 2024, XX rapporto sulle condizione di detenzione, Antigone
[20] Analizza questo fenomeno BUFFA, Narrazioni e distopie penitenziarie, Intra, 2024
[21] GONNELLA, Decreto sicurezza, moltiplicare i ricorsi contro un legge premoderna, Il Manifesto, 15 aprile 2025, ha efficacemente proposto questo conteggio: “Nel solo 2024 si sono verificati circa 1.500 episodi di protesta collettiva nonviolenta, quali la battitura delle sbarre o il rifiuto di rientrare in cella. Episodi che un bravo direttore o comandante di reparto risolveva con il dialogo, ascoltando le ragioni della protesta. La pedagogia premoderna e punitiva di chi ci governa ha deciso di criminalizzare la disobbedienza nonviolenta. Se il 2025 sarà come l’anno passato, supponendo che in media quattro detenuti partecipino a ogni episodio di disobbedienza a un ordine, arriveremo a seimila detenuti coinvolti”
[22] Già particolarmente lunghe rispetto alla media europea secondo il rapporto SPACE del Consiglio di Europa (https://www.coe.int/it/web/portal/-/significant-increase-in-sanctions-and-measures-without-deprivation-of-liberty-in-europe-space-ii-annual-statistics-for-2022).
[23] Che sono di molto inferiori a qualche decina di anni fa, secondo le serie storiche del DAP: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14_1.page?contentId=SST165653#
[24] https://ristretti.org/in-che-mondo-vogliamo-vivere