di Angela La Gamma* –
Tra i personaggi che hanno dato lustro alla nostra terra una posizione primaria deve certamente essere riconosciuta a Gianni Versace (Giovanni Maria Versace era il suo nome completo) poliedrico stilista, dal carattere schivo, volitivo ma, al contempo, dolce e gentile che ha fatto della moda la sua ragione di vita.
Il 2 dicembre 1946, in un’Italia in fase di rinascita, a Reggio Calabria, veniva al mondo quello che può essere definito un uomo dal talento impareggiabile, di quelli che è difficile non notare e che ha portato avanti i valori della cultura e dell’ingegno calabresi e della Magna Graecia, dando lustro all’Italia nel mondo attraverso una genialità difficilmente eguagliabile.
Gianni Versace era un ragazzo innamorato della bellezza ed uno stilista che ha saputo innovare la moda del XX secolo grazie alle sue intuizioni: sin da bambino gattonava tra pizzi e merletti nella sartoria della madre Franca (Francesca Olandese) e, appena adolescente, era già il principale collaboratore di quest’ultima, la quale si fidava ciecamente del suo istinto e di quelle che possiamo definire delle vere e proprie premonizioni sulle evoluzioni degli stili in un’Italia dalla ritrovata creatività e vitalità.
Nel 1972, a soli 24 anni, Gianni Versace ha disegnato la sua prima collezione da stilista, la Florentine Flowers: un successo clamoroso e, nel 1978, aiutato dall’adorato fratello Santo, ha fondato la casa di moda che portava il suo nome.
Il resto è storia nota. Ciò che mi piacerebbe portare all’attenzione dei lettori di questa rubrica è qualche aneddoto relativo alla vita dello stilista, tratto dalla biografia ufficiale, redatta dal giornalista Tony Di Corcia, che ci dà un quadro di come l’ambizione, il talento, la determinazione siano in grado di superare tutti i confini e raggiungere vette altissime ed insperate.
Chi mai, infatti, avrebbe potuto anche solo immaginare che questo ragazzo reggino, nato e cresciuto tra forbici, aghi e stoffe (il padre gestiva il laboratorio di confezione), dalla piccola sartoria di Via Gullì sarebbe arrivato a portare le sue creazioni in giro per il mondo ed a diventare un’icona inconfondibile della moda made in Italy?
Di certo non lo avrebbero mai potuto immaginare i maestri ed i professori di Gianni, il quale non potrà, sicuramente, essere ricordato come un amante della scuola e dello studio: sin dalle scuole elementari, infatti, i genitori sono costretti a mandarlo a ripetizioni.
Non va meglio alle medie: Gianni veniva accompagnato sin dentro la scuola dal fratello Santo, ma poi usciva dalla finestra per andare ad ammirare i resti del tempio greco, andare in via Marina; qualsiasi cosa pur di non restare seduto dietro ad un banco. Dopo le medie Versace si iscrive al liceo classico Tommaso Campanella: un vero disastro! Da lì passa all’istituto per geometri, dove era bravo solo in agraria ed in costruzioni, ma il suo insegnante sosteneva che avrebbe potuto specializzarsi solo nelle costruzioni rurali e quindi lo faceva esercitare esclusivamente nella progettazione di porcili, stalle e conigliere…non è difficile intuire quale sia stato il suo epilogo formativo: nell’anno scolastico 1967/68 non viene ammesso agli esami di stato e, quindi, tutt’altro che addolorato, Gianni decide di non diplomarsi.
Nulla da fare. Il suo habitat è nella sartoria della madre e, poi, nell’atelier: qui si sente a suo agio come “un feto nel liquido amniotico”.
Sin da bambino, per esercitarsi nell’imitazione della madre, Gianni si divertiva a realizzare gli abitini per le bambole delle sue amichette, utilizzando ritagli della sartoria; ad 11 anni ha scoperto quanto fosse esaltante cucire, piegare un tessuto, far risplendere una giacca nera grazie a dei bottoni preziosi: le sue mani ancora bambine detestavano l’imprecisione.
La sartoria era tutto il mondo di questo fanciullo, affatto interessato a ciò che accadeva fuori, al pallone, alle passeggiate sul lungomare con gli amichetti, ai gelati da Cesare: lui voleva stare con sua madre, con l’adorata sorella Donatella, con l’ago tra le dita. La sua era una passione irrefrenabile, totalizzante: una passione di quelle che induce a vivere tutto ciò che la riguarda in maniera intensa, estatica, forse eccessiva, ma mai sbagliata.
Tra stoffe, pizzi e merletti Gianni riconosceva sè stesso e riconosceva anche che i tempi cambiavano rapidamente: nei primi anni 70, ad esempio, Versace ha intuito che si andava rapidamente affermando la moda confezionata, segno tangibile che il vento di democrazia che soffiava in quel periodo storico si insinuava in ogni settore sociale.
La madre assecondava questo figlio geniale, fidandosi ciecamente del suo talento, della sua spiccata intuitività ed è per questo che alla sartoria è stata aggiunta una boutique.
Questa, ben presto, è diventata il mondo esclusivo di Gianni: i rappresentanti dovevano rispettare alla lettera le sue richieste, le clienti pendevano dalle sue labbra.
Racconta Di Corcia, che una volta entrò in boutique una delle migliori clienti, Raffaella De Carolis, Miss Italia 1962 e moglie di un armatore, alla quale Franca era riuscita a far comprare cinque vestiti tra i più costosi. Improvvisamente entra Gianni. La cliente, appena lo vede cerca il suo consenso e lui, senza alcun indugio, gliene fa restituire due in quanto “non adatti a lei”.
Quello che però deve far riflettere e che riflette il fulcro di quello che era il carattere e l’amore che Versace aveva per l’estetica e tutto ciò che ne fosse concernente è stata la risposta data alle, immaginabili e comprensibili, rimostranze della mamma Franca: “Mamma- questa è la risposta tratta dalla biografia di Di Corcia- chiunque veda una persona vestita da noi deve chiedersi: che bello? Dove lo ha preso? Se invece si chiede dove l’ha presa ‘sta roba e storce il muso, tu perdi un cliente. Si vende per amore, non per commercio”.
E proprio questo amore assoluto ed incondizionato per la moda ha portato un ancora giovane Gianni Versace a realizzare il suo sogno: disegnare, a soli 24 anni, una collezione, la Florentine Flowers, la quale, debuttata nel 1972, in una Firenze che era diventata il fulcro della moda italiana, immediatamente ha raggiunto un successo planetario. Anche la nascita di questo brand ha una connotazione onirica: la Florentine Flowers era una collezione di maglieria prodotta da Enzo Nicosia e dal suo socio Salvatore Chiodini. La stilista era la moglie di Nicosia, pian piano questa perde l’ispirazione e una collezione che vendeva benissimo smette di fare numeri. Ai due imprenditori balza in testa un’idea: perché non la facciamo disegnare a Gianni Versace? Hanno visto un suo schizzo, lo aveva consegnato a un rappresentante e questo, strabiliato dall’originalità del capo disegnato, l’aveva fatto vedere in giro per l’Italia.
Gianni Versace è uno sconosciuto, ma non lo resterà a lungo. La collezione è notevole, e propone cose mai viste. Appena arrivato in azienda, il giovane Versace non aveva alcuna nozione di maglieria e chiedeva di realizzare maglia e trecce in sbieco; due imprenditori gli facevano notare che non si potesse fare, che fosse impossibile, che era come camminare a testa in giù. Versace si è imposto, e si è fatto come diceva lui. Per la prima volta nella storia della maglieria, le lavorazioni sono state realizzate in sbieco per poter essere tagliate e cucite come un tessuto qualsiasi. A Firenze ne parlano tutti. E Versace ha già un credito da stilista affermato.
Florentine Flowers segna la nascita del mito Versace conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, un mito inarrestabile; Gianni, infatti, aveva attirato l’attenzione dell’universo della moda: i compratori lo apprezzavano, i giornalisti ne parlavano, gli industriali, che la moda la producevano, lo cercavano. Si realizza ciò che di Versace era chiaro sin dalla nascita: il suo destino era quello di fare moda.
Una vita fiabesca e luminosa, quindi, quella di Gianni Versace, sbocciata in una città baciata dal sole e dal mare; purtroppo, però, troppo presto, la favola è terminata con i toni tipici della tragedia andata in scena in un’altra città in cui sole e mare la fanno da padroni: è il 15 luglio 1997 quando Gianni Versace è stato attinto da due colpi di pistola davanti alla sua villa di Miami.
Uno squilibrato? Un tossicodipendente? Un conoscente? Le cause dell’omicidio rimangono ancora avvolte nel mistero, ciò che è certo, però, è che quei due colpi di pistola hanno rappresentato il suono del Big Bang che ha segnato il prima ed il dopo della moda: prima e dopo Gianni Versace. Con la fine di Gianni si è arrestato anche il suo sogno, la sua passione, la continua corsa verso un modo di intendere e fare moda del tutto peculiare, intriso da quella passionalità, dal quel fuoco, da quell’ardore che, da buon calabrese, Versace era riuscito a trasfondere nei capi che realizzava.
Il regista Franco Zeffirelli, suo amico, affermò che con “la morte di Versace l’Italia ed il mondo perdono lo stilista che ha liberato la moda dal conformismo, regalandole la fantasia e la creatività”.
Ma non voglio concludere la narrazione di questa “fiaba” lasciando al lettore un velo di malinconia, voglio, al contrario ricordare il grande stilista calabrese, utilizzando il ricordo espresso, nella prefazione alla biografia, dal suo “antagonista” per eccellenza, Giorgio Armani: quale ricordo conservo di Gianni Versace? Quello di una fantastica esuberanza, di un senso di allegria che tutto mescola – idee, tendenze, memorie, arte – con una specie di noncurante vitalità. Era un grande creatore, e il passare degli anni non fa che sottolineare quello che era il suo talento.
E proprio il talento, la passione, la tenacia hanno fatto sì che questo giovane reggino diventasse un astro della moda internazionale.
Nessun colpo di pistola potrà mai spegnere la sua luce.
*Consigliere del direttivo della Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora”
(Già pubblicato su Ante Litteram n. 2 – settembre 2024)