Misure di prevenzione: l’Italia ridotta a fare melina di fronte ai dubbi della Cedu

 

di Fabrizio Costarella e Cosimo Palumbo

 

Caso Cavallotti, Strasburgo stupita dalla confusione tra prove e sospetti

Potrebbe sembrare una boutade oppure uno scherzo e invece è vero: il Governo italiano ha chiesto una proroga dei termini per rispondere ai quesiti posti dalla Corte EDU nello scorso mese di agosto, nel caso Cavallotti/Italia.Avevamo già segnalato che le domande, che indubbiamente svelano all’interrogato le idee dell’interrogante, anticipano una decisione che potrebbe essere epocale, per il futuro delle misure di prevenzione.
Prudentemente, dunque, l’Italia fa quello che le riesce meglio, sin dai tempi della discesa di Annibale attraverso le Alpi: temporeggia. Eppure, la sensazione è che, questa volta, la truffa delle etichette abbia i giorni contati.

Già la sentenza della Grande Camera EDU, sul caso De Tommaso/Italia, aveva lasciato intuire che il futuro della prevenzione è nell’alveo della legalità formale. In quella pronuncia, il tema era solo parzialmente quello della natura delle misure di prevenzione. Eppure, i Giudici convenzionali avevano invocato i principi di accessibilità della norma e di prevedibilità della sanzione. Cioè, avevano denunciato il difetto di tassatività e determinatezza, quali corollari della legalità. Ma avevano anche richiamato il terzo pilastro della legalità, cioè l’irretroattività, con un obiter dictum tanto chiaro, quanto sfuggito a molti.Ora, invece, l’ordinanza della Corte EDU investe frontalmente le misure di prevenzione, con domande che riguardano proprio la loro natura di sanzione, la “qualità della Legge” che le prevede, i diritti riconosciuti alle parti private nel procedimento applicativo, gli effetti.Un ritorno evidente alla legalità formale, segno che a Strasburgo le misure di prevenzione italiane sono viste come “sanzioni criminali”, cioè materia penale.

La giurisprudenza europea svela dunque ciò che quella italiana si ostina a nascondere con virtuosismi semantici: non si può ulteriormente giustificare un sistema sanzionatorio che, come quello di prevenzione, è sovrapponibile al penale negli effetti, ma presenta delle peculiarità – come la retroattività, la instabilità del giudicato, la inquisitorietà – che lo rendono un terribile strumento (né di prevenzione, né di punizione, ma) di controllo sociale, grazie alla continua implementazione delle categorie di destinatari. E non è previsto come istituto, a differenza delle pene e delle misure di sicurezza, dalla nostra Costituzione, che fissa i casi ed i limiti di compromissione delle libertà fondamentali.

Un arnese da “doppio stato” che il potere costituito decide, in modo sostanzialmente discrezionale, a chi applicare ed a chi no (non essendovi – né potendovi essere, per la labilità dei suoi confini normativi – obbligatorietà dell’azione di prevenzione), a seconda della opportunità o della necessità del momento. Come si è visto nel recente parossismo legislativo: a ciascuno la sua prevenzione!

Senza accertamento di responsabilità su di un fatto costituente reato; spesso senza responsabilità tout court; a volte persino in presenza di sentenze assolutorie, come per i Cavallotti.
Un ritorno al “re taumaturgo”, che decideva, con l’imposizione delle mani ed a proprio insondabile arbitrio, chi far vivere, chi far morire. Senza alcuna forma di controllo e coercizione. “Il re ti tocca, Dio ti guarisce”. O, nel caso della prevenzione, “ti uccide”.
E troppi sono morti davvero, perché “toccati dal re”. Come Riccardo Greco, imprenditore di Gela, suicida per dare un futuro ai figli, ai quali rivolse un insolito biglietto di addio: “io devo andare, perché voi siate liberi”.
Frasi rispetto alle quali i tentennamenti del Governo davanti alla CEDU suonano come una ennesima beffa, se non come un insulto alla memoria.

Come il leggendario Hiroo Onoda, soldato giapponese che si arrese agli americani solo nel 1974 e solo perché aveva finito le munizioni, la politica prende tempo per difendere ciò che non è più difendibile: quel sistema che ha reso la prevenzione il terreno sul quale, più che nella giurisdizione penale, si misura oggi la pretesa punitiva pubblica in una congerie di ipotesi che il legislatore del 1956, ancora permeato dai valori della Costituzione, mai avrebbe potuto immaginare.
E intanto, di prevenzione si muore ancora.

(Articolo pubblicato su Il Dubbio)

Torna in alto