La sentenza Viola, una pronuncia di civiltà

di Orlando Sapia –

La Grande Camera della CEDU, in data 8/10/19, ha rigettato il ricorso presentato dall’Italia contro la decisione della I sezione della medesima Corte che, in data 13 giugno, aveva accolto il ricorso avanzato da Marcello Viola per violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo all’art. 3 “Divieto di Tortura”. In particolare, detto articolo dispone che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
Il Viola nel suo ricorso ha sostenuto che la pena dell’ergastolo scontata nel regime di cui all’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario, ovverosia senza poter accedere ai benefici penitenziari (permessi, lavoro all’esterno, semilibertà e liberazione condizionale), essendo una pena in concreto perpetua, realizza una violazione dell’art. 3 della Convenzione, oltre che dell’art. 27 della Costituzione italiana che prevede la funzione rieducativa della pena.

L’introduzione dell’art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario avviene a seguito di decreto d’urgenza, successivamente convertito nella Legge n. 203 del 1991.  All’indomani delle stragi di mafia si stabilì che i condannati per i delitti di prima fascia, riferibili al crimine organizzato, potessero godere dei benefici solo se avessero collaborato con la giustizia. In sostanza si costruì un circuito penitenziario differenziato, che di tutta evidenza mirava e mira a soddisfare esigenze di indagine e di sicurezza interna, anche a scapito della funzione rieducativa della pena.
Orbene la problematica diviene ancora più intensa allorquando il reo è stato condannato all’ergastolo, poiché l’assenza di collaborazione diviene, in questa logica, sintomo di mancata rieducazione e, quindi, osta alla concessione di quei benefici, che fanno dell’ergastolo, anziché una pena perpetua, una pena a esecuzione progressiva.
L’introduzione e lo sviluppo dell’art. 4 bis si iscrive in un contesto, inizialmente di emergenza e successivamente di populismo penale, che segna una presa di distanza dal percorso di costituzionalizzazione del diritto penale e dalla centralità della funzione rieducativa della pena.

In particolare, la Corte EDU in sentenza afferma: “la Corte dubita della libertà della predetta scelta e anche dell’opportunità di stabilire un’equivalenza tra la mancanza di collaborazione e la pericolosità sociale del condannato”. In tal senso, si prende in considerazione la possibilità che la scelta della mancata collaborazione possa dipendere da altri fattori, ad esempio il timore di mettere a repentaglio la propria vita e quella dei prossimi congiunti, e non sia necessariamente sintomatica di un’adesione ai valori del consorzio criminale. Stando così le cose, l’ergastolo ostativo è un “ergastolo senza speranza”.
Gli effetti della sentenza Viola comportano a carico dello Stato italiano l’obbligo “di attuare, di preferenza per iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione dell’ergastolo, che garantisca la possibilità di riesame della pena” (cit. sentenza Viola).

Altro effetto è l’influenza che la decisione della Corte EDU potrà avere sulla giurisprudenza costituzionale e di legittimità italiana. Il primo banco di prova si sta avvicinando, essendo prevista per il 22 ottobre udienza dinanzi alla Corte Costituzionale per vagliare una nuova questione sulla legittimità costituzionale dell’art. 4 bis.
In sostanza, la situazione è ben diversa da quella narrata da alcuni esponenti della politica nazionale, per i quali la sentenza CEDU rappresenterebbe il via libera per mafiosi e terroristi. Un esempio su tutti: per ottenere la liberazione condizionale è necessario aver scontato 26 anni di pena e che vi sia la prova del sicuro ravvedimento del condannato. Tale concessione passa attraverso il vaglio attento e severo della magistratura di sorveglianza che non è certo incline a fare regali.

La sentenza Viola è certamente una pronuncia di civiltà a garanzia dello stato di diritto, che si spera conduca il legislatore a mettere mano alla vigente disciplina, così da renderla conforme alla Costituzione e alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

(Pubblicato su Quotidiano del Sud, 11/10/19)

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