L’”errore percettivo” della Cassazione e il carcere per una persona che non doveva andarci

di Vincenzo Giglio e Riccardo Radi – 

 

Oggi raccontiamo una storia sbagliata.

Ce ne sono più di quante vorremmo nel grande calderone della giustizia e questo crea una doppia difficoltà: è difficile dedicare a tutte l’attenzione che pure meriterebbero; è sempre latente la sensazione di inutilità poiché nessuno sforzo pare capace di provocare anche il più marginale cambiamento.

Tuttavia ci sono storie più sbagliate di altre, soprattutto quando sbaglia chi ha il compito di correggere gli errori altrui.

È questo il ruolo della Corte di cassazione che Michele Taruffo, in una raccolta di saggi edita da Il Mulino nel 1991, denominò il “vertice ambiguo”, espressione giustificata dalla difficoltà di coniugare le due funzioni tipiche della nostra Suprema Corte; la verifica della legittimità delle singole procedure e il ruolo nomofilattico generale.

Chi analizza per studio o lavoro la sua produzione complessiva, i risultati che produce, i suoi conflitti interni, la sua capacità persuasiva, non tarda a scorgere i sintomi dell’affanno: la Cassazione fa fatica a reggere i rilevantissimi flussi di lavoro che le sono assegnati ma al tempo stesso deve smaltirli perché il tempo non è più una variabile indipendente e l’arretrato non è più un’opzione.
La prima vittima è ovviamente la funzione nomofilattica, sempre più indebolita da una produzione necessariamente convulsa che fa premio su qualsiasi altro fattore, ivi compresa la riflessione.
La seconda vittima è la verifica della legittimità: il ritmo martellante dei flussi in entrata, delle udienze sovraffollate, delle camere di consiglio, delle decisioni da scrivere in fretta e furia fanno sì che la Cassazione si distanzi sempre più dal cuore dei processi e quindi dalle persone in carne e ossa che stanno dietro ogni ricorso e ogni difesa.
Non stupisce allora che possano verificarsi storie sbagliate come quella di cui ci accingiamo a parlare.

L’avvocato Maurizio Capozzo, difensore di VS (lo identifichiamo con le sole iniziali nel rispetto del suo diritto alla riservatezza), una di queste persone in carne e ossa, ricorre per cassazione contro la decisione della Corte territoriale che ha confermato la condanna inflitta in primo grado al suo assistito, riconosciuto responsabile in concorso di una pluralità di episodi criminosi integranti fattispecie di estorsioni consumate o tentate, aggravate ai sensi dell’art. 416 bis.1, cod. pen.

Si affida ad un unico motivo, deducendo la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità per non aver ricevuto – esso difensore di fiducia – alcuna notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, così restando assente in tutte le udienze attraverso le quali si è sviluppato il giudizio di appello, per essere stato notificato l’avviso, invece, ad altro difensore.

Il ricorso è trattato e deciso da Cassazione penale, Sez. 2^, sentenza n. 50649/2023, udienza del 14 settembre 2023 ma, per quanto possa sembrare strano, per raccontarne l’esito abbiamo necessità di fare riferimento ad una differente decisione, precisamente Cassazione penale, Sez. 2^, ordinanza n. 50430/2023, udienza del 14 dicembre 2023, di cui riportiamo il testo integrale:

All’udienza del 14 settembre 2023 questa seconda sezione penale della Corte di Cassazione decideva i ricorsi proposti da VS ed altri avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli che il 28/9/2022 aveva confermato il giudizio di penale responsabilità espresso nei loro confronti dal Tribunale cittadino il 30/6/2021 in relazione ad una pluralità di episodi criminosi integranti fattispecie di estorsioni consumate e tentate, aggravate ai sensi dell’art. 416 bis.1, cod. pen. VS, in particolare, con unico motivo di impugnazione, aveva dedotto la violazione di norme processuali stabilite a pena di nullità per non aver ricevuto il difensore di fiducia, avv. Maurizio Capozzo, alcuna notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza, così restando assente in tutte le udienze.

Il collegio giudicante, rilevando che in nessuna delle udienze celebratesi dinanzi alla Corte di Appello era stata eccepito l’omesso avviso all’avv. Capozzo, dichiarava inammissibile il ricorso, sul presupposto dell’esistenza di altro difensore di fiducia dello Scarano e, pertanto, della sussistenza di una nullità a regime intermedio intempestivamente rilevata, anche alla luce dei principi posti da questa Corte di Cassazione, secondo cui il termine ultimo di deducibilità della nullità a regime intermedio, derivante dall’omessa notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale di appello ad uno dei due difensori dell’imputato, è quello della deliberazione della sentenza nello stesso grado, anche in caso di assenza in udienza sia dell’imputato che dell’altro difensore, ritualmente avvisati (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibè, Rv. 249651).

Durante la stesura della motivazione della sentenza, però, si è rilevato l’errore percettivo in cui si era incorsi, in quanto nel ricorso per cassazione proposto nell’interesse di VS si era espressamente specificato che non era “intervenuta alcuna nuova nomina, surroga o affiancamento di altro difensore”, come, peraltro, verificato dall’esame degli atti trasmessi a questa Corte, sicché si è proceduto senza formalità, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen.

Si tratta, pertanto, di una svista o equivoco incidente sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto è stato percepito in modo difforme da quello effettivo, tale da integrare l’errore di fatto, indicato dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Barbato, Rv. 273193; Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527) e, per quel che più rileva, si tratta di errore percettivo determinante ai fini della decisione presa, in quanto l’omesso avviso dell’udienza all’unico difensore di fiducia tempestivamente nominato dall’imputato o dal condannato, integra una nullità assoluta ai sensi degli artt. 178, comma primo lett. c) e 179, comma primo cod. proc. pen. (Sez. U, n. 24630 del 26/03/2015, Rv. 263598).

Si impone, pertanto, la necessità di correggere l’errore nel dispositivo della sentenza di cui si tratta, come riportato nel ruolo di udienza, con l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, nei confronti di VS, con trasmissione degli atti per il giudizio alla Corte territoriale, e le rettifiche conseguenziali in tema di spese processuali.

P.Q.M.

Corregge il dispositivo della sentenza emessa dalla seconda sezione penale di questa Corte in data 14/9/2023, riportato nel ruolo di udienza pubblica n. 20, nei confronti di VS nel senso di aggiungere, prima del primo termine annulla l’inciso “annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di VS e dispone trasmettersi gli atti alla Corte d’Appello di Napoli per il giudizio”, nonché la sostituzione della frase che inizia con la parola “dichiara” e fino a “VS” con l’inciso “inammissibile il ricorso di GS“.

Le cose dovrebbero essere più chiare adesso: il ricorso di VS è stato dichiarato inammissibile sulla base di un “errore percettivo” mentre avrebbe dovuto essere accolto e comportare l’annullamento della sentenza impugnata.
Durante la stesura della motivazione l’estensore si accorge dell’errore e viene attivata e portata a compimento la procedura per la sua correzione.
Si dice che tutto è bene quel che finisce bene ma in questo caso le cose non stanno propriamente così perché il dispositivo sbagliato del 14 settembre 2023 aveva determinato il passaggio in giudicato della condanna e, va da sé, l’immediato ingresso di VS nel carcere di Poggioreale.

La sua lettura aumenta lo sconcerto: si scopre infatti che VS aveva scontato in detenzione preventiva quasi l’intera pena inflitta e l’avrebbe addirittura esaurita se si fosse potuto tenere conto della liberazione anticipata che sarebbe stata conteggiata a suo favore in caso di condanna definitiva, al punto che la notizia dell’errore è arrivata a VS mentre era già stato rimesso in libertà.

 

E qui finisce la storia sbagliata di oggi.

La Cassazione è in affanno, lo sottolineiamo nuovamente in chiusura. Il suo affanno non resta rinchiuso nel Palazzaccio, esce fuori e fa tutte le vittime che abbiamo elencato prima.
Pensiamo che occorra capire se si è trattato di uno sfortunato episodio che non va oltre se stesso oppure se hanno inciso disfunzioni di sistema che potrebbero replicare più e più volte questa storia sbagliata.
Pensiamo che la Suprema Corte, così come emette comunicati per informare l’opinione pubblica dell’esito dei processi di maggiore risonanza mediatica, lo stesso dovrebbe fare in casi come questo per spiegare a tutti come l’errore sia stato possibile e come si intenda rimediare in futuro.
Dubitiamo che avverrà: del resto sono passati quasi due mesi dalla correzione dell’errore e se ne è avuta notizia soltanto per merito della stampa.

(Pubblicato da “Terzultima fermata”, il 10 febbraio 2024)

 

 

 

Torna in alto