Serafino Famà, l’avvocato perfetto

 

di Antonio Ludovico

Sono le storie come quella dell’Avvocato Serafino Famà che ci danno la forza e l’orgoglio di essere avvocati. Una storia fatta di regole o, meglio, di ossequioso rispetto per le regole, una storia di rigore, di puntigliosità, di valori veri.

Nato a Misterbianco, provincia di Catania, nel 1938, l’avvocato Serafino Famà rappresentò plasticamente e idealmente la figura di colui che difendeva ma non concedeva favori, che si spendeva ma senza violare norme e regolamenti. E, soprattutto, Famà era un avvocato consapevole del ruolo che occupava, per di più in una terra che “vanta” una galassia criminale e sanguinaria con nomi che al solo pronunciarli vengono i brividi. Stiamo parlando della terra dei Santapaola, dei Pulvirenti, dei Laudani, delle consorterie da loro capeggiate che impongono le loro assurde regole a tutti i consociati e che avrebbero volute imporle anche ad un avvocato come Serafino Famà. Dimenticando che Famà era una persona di un rigore e di un’inflessibilità che andavano oltre “il dedotto e il deducibile”.

In parole povere, Famà era ligio al dovere e al codice deontologico, anche a costo di perdere il bene più sacro, ossia la vita. Cosa che avvenne la sera del 9 novembre del 1995, alle ore 21 allorquando, all’angolo tra via Raffaello Sanzio e via Oliveto Scammacca di Catania, un commando composto da quattro persone (Salvatore Catti e Salvatore Torrisi nella veste di esecutori materiali, mentre Alfio Giuffrida e Fulvio Amante erano i complici) gli esplose sei colpi di pistola cal. 7,65. Una esecuzione in puro stile mafioso, una esecuzione senza remissione di peccato, che non diede scampo al povero penalista.

Alla base dell’omicidio dell’avvocato catanese, così come acclarato dalla sentenza della Corte di Assise del capoluogo etneo – che condannò i responsabili all’ergastolo – ci fu il gesto, giuridicamente ineccepibile, dell’avvocato Famà di non far deporre la coniuge – Stella Corrado – del suo allora assistito Matteo Di Mauro in favore di un pericoloso mafioso, Giuseppe Di Giacomo, ma di farle scegliere il silenzio, evitando alla donna una possibile imputazione per falsa testimonianza.

Una storia talmente brutta che s’innesta tra il romanzesco e la tragedia, poiché si venne poi a sapere che il noto mafioso aveva una relazione proprio con Stella Corrado, moglie di suo cognato, nonché assistito dell’Avvocato Famà, Matteo Di Mauro. Il boss Di Giacomo non riuscì ad essere scarcerato proprio per il consiglio corretto che l’avvocato Famà diede alla donna. Da qui, l’ordine di fare fuori il penalista, diramato direttamente dal carcere di Firenze, dove il Di Giacomo era detenuto. Anni dopo, furono i giudici della Corte di Assise di Catania che fugarono il campo da ogni dubbio circa l’esemplare condotta del legale siciliano, condannando i responsabili di quell’orribile omicidio all’ergastolo e rimarcando il movente di quell’agguato in puro stile mafioso: “il corretto esercizio dell’attività professionale da parte dell’avvocato Famà”.

Sarà forse pleonastico ricordare che quelli erano anni particolarmente complessi, dove anche gli avvocati avevano la consapevolezza che la mafia poteva colpire a più livelli, non soltanto tra loro e che anche un consiglio dato in piena regola poteva condurre alla morte, esattamente come una progressiva disintegrazione della normalità. Da aggiungere ancora che, dal dicembre di quello stesso anno, la Camera Penale di Catania prende il nome di Serafino Famà e che – nel 2011 – un bene confiscato alla mafia in provincia di Latina, venne intestato alla memoria del penalista siciliano, ma – particolare amarissimo – lo stesso fu fatto oggetto di atti intimidatori. Esiste, poi, ma è di difficile reperibilità un filmato – a cura di Flavia Famà e Simone Mercurio, che s’intitola “Tra due fuochi. Serafino Famà, storia di un avvocato” che ripercorre la vita di un uomo libero, che era orgoglioso di essere un avvocato vero, custode dei diritti affidatigli dalla Costituzione, fedele verso il cliente e altresì fedele nei confronti della legge. In buona sostanza, la sintesi dell’avvocato perfetto.

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